City Hunter, la recensione del film Netflix ispirato al manga di Tsukasa Hojo – .

Pubblicato tra l’85 e il ’91 in Giappone, City Hunter di Tsukasa Hojo anche qui divenne famoso solo dopo pochi anni, prima come manga e poi come anime: quest’ultimo, soprattutto, raggiunse un pubblico più vasto, seppure cannibalizzato da un primo adattamento italiano che censurava situazioni e dialoghi, fino a modificarli. i nomi dei protagonisti.

Mentre in Italia si preoccupavano di chiamare il povero Ryo Saeba solo “Cacciatore”, la serie Hojo ha fatto il giro del mondo: è ancora oggi una delle più adattate nei diversi formati; conta almeno quattro stagioni dell’anime, varie versioni del manga tra cui un sequel “alternativo”, diversi lungometraggi animati, un film cinese con protagonista nientemeno che Jackie Chan, una fiction francese e una serie TV coreana. Assurdo, il film Netflix di cui parliamo in questa recensione di City Hunter è il primo film ad essere stato interamente prodotto in Giappone ed è anche un ottimo modo per avvicinarsi alla storia dello stallone più arrapato di Shinjuku!

Una vestibilità ideale

Ryohei Suzuki e Fumino Kimura sono Ryo Saeba e Saeko Nogami in City Hunter

Il nuovo City Hunter su Netflix appartiene a una generazione moderna di adattamenti live action che, sebbene non sempre soddisfino al 100% i fan delle opere originali, almeno hanno preso le distanze dagli orrori del passato: i vari Dragon Ball Evolution, Fist of the North Star e co. sono oggi un lontano ricordo, forse perché il settore ha cominciato a prendere un po’ più sul serio gli appassionati, forse perché la tecnologia contemporanea permette di gestire meglio una transizione difficile, soprattutto se di mezzo ci sono anche gli effetti speciali digitalizzati.

Quello di Tsukasa Hojo, tuttavia, è sempre stato un lavoro con i piedi per terra. City Hunter è innanzitutto un romanzo poliziesco che racconta la storia dei compiti del spazzatrice Ryo Saebauna sorta di investigatore privato che si fa pagare profumatamente per i suoi servizi, anche se è disposto a lavorare gratis in cambio di una… “chiacchierata”.

Ancor prima di essere censurato in Italia, l’anime originale di City Hunter ha notevolmente ridimensionato il mokkoriparola giapponese che scherzosamente si riferisce all’erotismo, soprattutto sotto forma di gag esplicita: Ryo è un uomo lascivo, perennemente affamato di sesso, che perseguita i suoi clienti nella speranza di ottenere qualcosa da loro ma che finisce praticamente sempre a mani vuote, vuoi perché sono più furbi di lui vuoi perché la sua assistente Kaori Makimura interviene con il suo gigantesco martello punitivo. Una figura del genere – per quanto esilarante – sarebbe stata assolutamente fuori luogo in un film contemporaneo, eppure Il film di Yuichi Sato non si arrende mokkori: non ci sono le memorabili erezioni del manga, ovviamente, ma Ryo non perde occasione per ridicolizzarsi sia in privato che in pubblico.

Incredibilmente City Hunter funziona. Il regista Sato trova un equilibrio impensabile tra dramma e commedia, mentre racconta la storia originariamente scritta da Hojoricontestualizzandolo ai giorni nostri: il film racconta essenzialmente i primi capitoli del manga e la storia dell’Angel Dust, un farmaco che dona forza e resistenza disumane, ma è privo di ragione.

Le scene d’azione sono assurde ma anche molto, molto divertenti

Un caso che Ryo sta seguendo insieme al compagno Hideyuki Makimura avrà conseguenze tragiche, finendo per coinvolgere anche Kaori, l’esuberante sorella di Hideyuki: lei e Ryo saranno costretti a collaborare per risolvere il mistero, riportare giustizia e salvare una giovane idol dalle misteriosa Unione che produce Polvere d’Angelo. In poco meno di due ore, City Hunter compie un vero miracolo, raccontando una storia autonoma con un finale soddisfacente, ma che si presterebbe perfettamente alla serializzazione, e lo fa in modo chiaro, bilanciando azione e introspezione. Il film rallenta un po’ nella parte centrale, ma si ha la sensazione che stia prendendo slancio verso il climax, e non annoia mai poiché distribuisce anche in modo intelligente l’azione.

Ryo Saeba non è solo un investigatore depravato, ma anche un tiratore scelto infallibile, un esperto di arti marziali e un soldato che nasconde un passato misterioso e inquietante, ancora da scoprire. Il film svela cautamente questo suo lato oscuro, rendendolo protagonista di alcune scene davvero memorabili: il merito va anche all’attore che lo interpreta, uno straordinario Ryohei Suzuki che non è solo simile al Ryo di Hojo nel fisico – è alto quasi due metri! – ma che si cala anche nel ruolo con grande convinzione, riuscendo a centrare praticamente ogni battuta comica, anche quelle più imbarazzanti, e a essere glaciale nei momenti drammatici.

L’eccellente Misato Morita interpreta una Kaori Makimura leggermente meno grintosa ma anche più umana

Il film di Sato, infatti, si presta un po’ quando cerca di sembrare un cartone animato, ma in carne e ossa, quando esagera i personaggi e le loro idiosincrasie che nel mondo reale sarebbero improbabili. Abbiamo però apprezzato lo sforzo di richiamare manga e anime senza diventare troppo forzato o stucchevole e mantenendo una sorprendente fedeltà allo spirito dell’opera originale. In questo senso, ad es. Il carattere di Kaori inizialmente potrebbe apparire un po’ sacrificato, dal momento che non la vediamo immediatamente tirare fuori i suoi famosi martelli per battere Ryo ogni volta che supera il segno. Il film trova un modo intelligente per giustificarle, ma sembra decisamente più interessato a definire il lato più umano del personaggio interpretato dalla talentuosa Misato Morita: rispetto alla sua controparte animata o comica, la Kaori del film su Netflix appare forse meno parodico, ma sicuramente più credibile.

Il cast funziona ancora, anche se forse avremmo preferito un Fumino Kimura meno rigido nei panni dell’ispettore Saeko Nogami: è anche vero che la sceneggiatura concede poco spazio alle sue interazioni con Ryo, così come non ne concede alcuno ad altri comprimari storici come Falcon, totalmente assente in questo film come lo era nella versione originale. I riflettori sono invece puntati sul fratello di Kaori, interpretato da Masanobu Ando, ​​che, nonostante il poco tempo a disposizione, riesce comunque a lasciare il segno nel cuore dello spettatore.

Il nuovo film di City Hunter adatta la trama originale della droga Angel Dust
Il nuovo film di City Hunter adatta la trama originale della droga Angel Dust

Poi c’è un altro grande protagonista in questa storia ed è lui Shinjuku. Il quartiere dei divertimenti di Tokyo viene inquadrato più volte in montaggi e carrellate che si concentrano sulla vita quotidiana che a Shinjuku è sempre un po’ eccentrica, tra cosplayer e hooligan, luminose insegne al neon e vivaci discoteche. City Hunter è un film che non lascia nulla al caso e che dimostra una grande sensibilità verso l’opera di Tsukasa Hojo, non solo nelle sue parti più intime, ma anche nelle scene d’azione, ben coreografate, chiare e anche piuttosto cruente anche se raramente macabro. Negli scontri corpo a corpo, è chiaro che il regista si sia ispirato al John Wick di Derek Kolstad: in più di un’occasione Ryo mescola pugni, calci e armi da fuoco in massacri poco credibili, ma dannatamente divertenti da guardare.

Alla fine, nonostante i trailer ci avessero già dato speranza, abbiamo iniziato City Hunter con il timore di dover avere a che fare con un prodotto mediocre, e invece abbiamo spento soddisfatti la TV: il nuovo adattamento in carne ed ossa delle avventure di Ryo Saeba non è un capolavoro, ma una produzione di intrattenimento onesta e attenta che, soprattutto, rende giustizia a quell’equilibrio tra serietà e giovialità che ci ha fatto amare il lavoro originale di Tsukasa Hojo da oltre trent’anni.

Tag: City Hunter recensione Netflix film ispirato Tsukasa Hojos manga

 
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