Perché non possiamo essere amici? La recensione della Guerra Civile – .

Ah, film di guerra di Hollywood.
Abbiamo visto tutto.
Soldati americani che combattono una guerra che credono giusta, soldati americani che combattono una guerra che credono ingiusta. I soldati attaccavano a casa loro, i soldati si organizzavano o prendevano di sorpresa in luoghi nemici. Civili a vario titolo: a casa loro, a casa del nemico, presi tra due fuochi in un campo neutrale. I nemici veri (Germania/Russia/Vietnam/Afghanistan/Iraq), i nemici sconosciuti (lo Stato canaglia), i nemici inventati (non so, Sokovia), i marziani come scusa per liberarsi di ogni gravame morale.
Fino ad ora, una fittizia seconda guerra civile americana era oggetto solo di satira grottesca o di fantasiosi scenari distopici. zona crepuscolare pieno di umorismo nero.
Fino ad oggi.
Benvenuti alla fine di aprile 2024, dove l’umore prevalente è che se ti staccassi da internet per una settimana e al tuo ritorno ti dicessero che in America è scoppiata la guerra civile, non risponderesti “che diavolo sono?” stai parlando di Willis” ma “eh, wow, mi dispiace”.
SIGLA!

Immagino che Alex Garland stia notando, come molti, la mancanza di Oliver Stone.
Distanza qualitativa e vite molto diverse a parte, hanno avuto percorsi simili. Entrambi hanno iniziato come sceneggiatori: mentre Stone scriveva Fuga di mezzanotte, Scarface, L’anno del drago E Conan il BarbaroGarland ha scritto, ehm, La spiaggia, 28 giorni dopo, Luce del sole E L’incursione Dredd. Ed entrambi hanno iniziato a dirigere facendo esperienza nel genere prima di gettarsi nel “quadro generale”, ma qui Garland, con Ex machina E Annientamentocertamente ha iniziato più avanzato di Stone che aveva iniziato con esercizi come Confisca E La mano.
Stone un tempo era il pazzo furioso che si lanciava in appassionati successi politici e sfidava le controversie a muso duro. Era lui che scopriva e rileggeva storie scomode, quello che lanciava accuse dirette e appassionate anche a rischio di sembrare un pazzo, ma anche quello che Hollywood mandava avanti per rappresentare prima di chiunque altro l’attualità più delicata, come un vero sacrificabile: il primo a portare sul grande schermo l’attentato dell’11 settembre (insieme a Uniti 93), e il pazzo pronto a sfidare il presidente in carica (in carica!) con una biografia semi-parodica. Per coincidenza (o no) furono anche i suoi film più popolari: Centro mondiale del commercio metteva da parte ogni polemica e complotto ed era interamente incentrato su un pompiere intrappolato tra le macerie (pagherei per vedere cosa Stone sceglierebbe invece di raccontare oggi), mentre W tutto sommato è stato facile e si potrebbe riassumere con “Bush Jr è stupido ma dai, in fondo ce la mette tutta”. Tuttavia è innegabile che il vuoto lasciato da Stone comincia a farsi sentire: Oppenheimer ha fatto eco a suo modo progetti come JFK O Nixon in salsa Nolan, mentre Guerra civile citazioni in modo molto più diretto Salvatore.

UOMINI non è esattamente il miglior biglietto da visita per Garland in termini di progetto simile Guerra civile: aveva un certo coraggio espressivo spericolato e a suo modo ammirevole, ma era anche il tentativo arrogante e maldestro di realizzare il film metaforico definitivo su un tema – la condizione delle donne oppresse dal patriarcato – che aveva chiaramente colto solo fino a un certo punto. Era un film cinico, presuntuoso e, nella migliore delle ipotesi, banale.
Se il londinese Garland affermasse di poter descrivere le attuali tensioni in seno agli USA con lo stesso atteggiamento – quello di voler aderire all’importante tendenza sociale del momento e proporsi come leader di una carovana a prescindere dalla profondità e perfino dall’attualità della sua visione specifica: eravamo finiti. In qualunque modo volesse prenderla. Da un estremo, dall’altro, e anche dal tentativo dichiarato di ostentare una neutralità che invitasse ad appianare le differenze.
Ma ehi, il concetto era innegabilmente potente: vuoi mettere? Essere i primi a immaginare un conflitto armato interno agli USA da un punto di vista molto serio, plausibile e probabilmente mai così vicino dal 1861? Arrivarci adesso, con la campagna elettorale presidenziale in pieno svolgimento? Ed esce (negli USA) il 12 aprile, nell’anniversario della prima guerra civile, in una sorta di anti-Giorno dell’Indipendenza? Era potenzialmente il “film di discussione in salotto” definitivo dell’anno. Oppure il film di cui discutere durante la (per fortuna lontana) cena di Natale. Garland sta sviluppando un fiuto per queste cose che Adrian Lyne non ha riguardo alle tensioni sessuali tra coppie negli anni ’80/’90.

Gli occhi dell’innocenza che saranno fuorviati dalla violenza di uomini accecati da un odio incomprensibile ecc… ecc…

Però: lo so che Garland in fondo non è stupido, perché al di là di tutto non si può tirar fuori un gioiellino del genere Ex machina se sei stupido. E, come Raheem Sterling che si rifiutò di calciare un rigore contro l’Italia nella finale degli Europei per paura di sbagliarlo, Garland in realtà vira – in un impeto di timidezza o di intelligente consapevolezza di sé – verso una struttura che gli permette di evitare i più sensibili e caldo che rischierebbe di rovinare l’atmosfera sui social.
Guerra civile inizia con la guerra civile ormai ben avanzata e volge al termine.
Non dice il cosa né il perché: parte dritto e senza preamboli visto che tutti se ne sono un po’ dimenticati, e quando ormai presumibilmente si è visto tutto da entrambe le parti.
Guerra civile va dritto alle conseguenze. E le conseguenze sono… beh, niente di troppo diverso da L’ultimo di noi se avesse avuto l’onestà di sbarazzarsi del tutto dei funghi zombi, in molti modi.
Da un lato è legittimo considerarlo un vigliacco, ma dall’altro è anche effettivamente un’inerzia che il film sfrutta attivamente: le suggestioni sono davvero più che sufficienti. Chiunque può immaginare cosa sia successo. Garland può permettersi di essere generico perché chiunque, indipendentemente da dove si trovi, e a meno che non abbia trascorso gli ultimi dieci anni a meditare nel deserto del Gobi, può facilmente ricreare a piacimento nella propria testa una versione plausibile degli eventi che riflette e giustifica lo stesso scenario. si verifica. Ed è una cosa attuale, sentita, che può dare legittimi brividi senza bisogno di ulteriori spinte.
Il gioco del film è più o meno apertamente questo: i protagonisti sono esperti reporter di guerra resi cinici dall’aver visto più volte le stesse scene in giro per il mondo, per ragioni altrettanto molteplici e opposte. La loro spinta a tentare l’ennesima avventura – andare a intervistare il Presidente prima che il colpo di stato sia completato – è la vana speranza che forse, questa volta, documentare e riferire aiuterà a imparare la lezione per la prossima occasione.
Incontrerai persone che hanno trovato Guerra civile “agghiacciante” anche se non mancano i film in circolazione che scavano ancora più a fondo e con maggiore impegno in scenari del tutto paragonabili, ma la premessa di Garland si basa proprio sulla possibilità di riproporre la stessa lezione, senza necessariamente l’obbligo di dire o mostrare qualcosa di nuovo , consapevoli del fatto che per centrare l’obiettivo è sufficiente togliere la distanza di sicurezza da una guerra che siamo abituati a vedere svolgersi altrove, geograficamente e/o temporalmente. E onestamente: ti darò credito per questo. È davvero un’esperienza intensa e interessante (anche) così.

Venerdì informale

Garland si affida quindi a personaggi piuttosto classici: il fotografo veterano temprato da anni di esperienza (un’immensa Kirsten Dunst), il giovane fotografo aggressivo la cui ingenuità accompagna lo sguardo esterno dello spettatore (l’eterna dodicenne Cailee Spaeny), il reporter appassionato che fa da intermediario tra i due (è giusto chiamare Wagner Moura “il Pedro Pascal del discount”? No, meriterebbe molto di più, ma in realtà qui è quella la sua funzione – si chiama addirittura Joel!) e l’anziano mentore (Stephen McKinley Henderson). Tutti e quattro rimangono più archetipi che altro.
Il loro viaggio li metterà di fronte a scenari tesi e violenti ma tutto sommato già visti, e non più raffinati dei migliori film bellici/distopici/post-apocalittici – le note più interessanti stanno nei riferimenti occasionali a chi riesce a ignorare la guerra e cavarsela come se niente fosse, come il giovane proprietario annoiato del negozio di abbigliamento che lo tiene aperto anche quando nel palazzo di fronte ci sono due cecchini.
Garland ha in genere una messa in scena adeguatamente dinamica, ma nel dubbio semplifica sempre – soprattutto in fase di sceneggiatura – perseguendo a tutti i costi il ​​tono di un grande classico accessibile a tutti. Non è nemmeno proprio neutrale al 100% (è impossibile): il Presidente, nella sua doppia ombra, può ricordare Trump, ma questo significa che il Campidoglio questa volta è preso d’assalto dagli altri, e non c’è nessuna conferma né giudizio e lì tutto il manca il resto del contesto e della cronologia. Gli stati alleati vengono citati con disinvoltura, e l’alleanza del Texas con la California ribalta subito ogni ovvietà, dimostrando che ogni riferimento occasionale è puramente funzionale per non incrinare la credibilità del contesto con troppe acrobazie dialogiche, e non va sovrainterpretato. Perché insomma vuoi negarti, non so, una frase potente del tipo “Che americano saresti?” pronunciato da Jesse Plemons nella scena chiave del trailer? Questo è il colpo dell’esperto sceneggiatore, che poi inquadra il personaggio in una sorta di estremista psicopatico senza troppe spiegazioni da cui è facile prendere le distanze anche quando si hanno (diciamo così) tendenze ideologiche comparabili. Più fastidioso è il fatto che, in silenzio, mentre pensi ad altro, ti metti nello stereotipo della donna dura che riscopre la sua umanità quando abbandona jeans e maglietta e assapora il piacere di indossare un abito più classico Ancora.

Qui è successa una cosa brutta della guerra

Pur intuendo ciò che Garland sta cercando di fare, e pur essendo parzialmente a suo favore, me ne sono allontanato Guerra civile sinceramente perplesso. L’alternanza tra momenti evidenti ma efficaci/potenti e momenti evidenti e basta, pur essendo sempre girati in maniera molto dignitosa, lascia un po’ l’amaro in bocca. Durante il climax tutti gli equilibri vengono ribaltati: coerentemente con quanto fatto fino a quel momento Garland indirizza a concentrarsi sulla bambina e sulla speranza che porti a casa tutti gli scatti importanti del caso, ma ciò che sta accadendo attorno a lei questa volta purtroppo è molto più interessante, va bene martellare sull’importanza dell’informazione ma ci avviciniamo troppo al vero nocciolo della storia per ignorarla nuovamente in nome di ostentata neutralità. Viene da chiedersi se non sia questa, in definitiva, la tipologia di film che, nel suo eccesso di aspecificità, perde la sua forza una volta allontanato dal contesto culturale in cui ci troviamo oggi noi spettatori e aggiunge un sostanziale bonus emotivo dovuto alle tensioni che ancora viviamo. vita. Il suo destino sembra essere piuttosto quello di diventare il classico riferimento generico che in futuro utilizzeremo in ogni momento opportuno per dire “ehi, questo film era previsto!” (sperando, ovviamente, che ciò non accada). Se vi interessa solo l’azione, guardate invece i lavori di Paul Greengrass, ma a parte questo niente da dire, le discussioni in salotto sono garantite.

Citazioni dei post di Instagram:

“Guarda l’odio che stiamo generando
Guarda la paura che stiamo alimentando
Guarda le vite che conduciamo
Come abbiamo sempre fatto prima”
Guns’N’Roses, Guerra civile

Citazione della storia di Instagram:

Steve Rogers/Tony Stark, Vendicatori

>> IMDB | trailer

PS: il prossimo film di Alex Garland si intitola Le vite dei neri contano.
Ok, non è vero, ma ci siete cascati tutti.

 
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