La spiegazione di tutto sembra un filmetto leggero e invece è un piccolo gioiello – .

La spiegazione di tutto sembra un filmetto leggero e invece è un piccolo gioiello – .
La spiegazione di tutto sembra un filmetto leggero e invece è un piccolo gioiello – .

Orban sì, Orban dai, Orban è un fantasma. Il primo ministro ungherese è finito addirittura dentro/sopra/sotto un film esilarante e imperdibile come Una spiegazione per tutto. Spaccato politico storico contemporaneo che, attraverso ironia, spensieratezza e battibecchi, illustra l’ira fatale della gente comune (una volta chiamata popolo) attorno ai concetti di patria e nazione. Non che in Italia manchi mai qualcosa sull’argomento, ma è la sintesi cinematografica del giovane regista Gabor Reisz ritrae il caos culturale sotto il cielo ungherese come nessun cronista occidentale avrebbe mai osato.

Galeotta era dunque la coccarda tricolore (il simbolo risorgimentale della rivoluzione popolare antiaustriaca del 1848 che fondò il concetto di nazione ungherese) indossata senza prestare molta attenzione sulla giacca del diciottenne Abele. La scena tace di fronte alla generica questione della storia della commissione d’esame, una bocciatura scottante e un caso che da personale familiare diventa in pochi giorni, e con altrettanta disinvoltura, caso giornalistico e mini scandalo nazionale. “Ho fallito perché indossavo una coccarda.”

Vox populi naturalmente incontrollato, ramificato in mille rivoli, telefono senza fili e titolo di giornale anch’esso invisibile (brillante dettaglio del signor Reisz che scrive il film con Eva Schulze), distorcono il fatto verso la zona di comfort festaiola di ciascuno dei protagonisti. Quando invece Abele (Gaspar Adonyi-Walsh) è tutt’altro che un nazionalista fanatico. È un giovane allampanato, un po’ tonto, ma soprattutto innamorato della sua compagna di classe Janka (Lilla Kizlinger), a sua volta schiacciato fino allo sfinimento dal quarantenne insegnante di storia Jakab (Andras Rusznak), colui che, infatti, porrà ad Abele la fatidica domanda “perché porti la coccarda” e gli passerà accanto. E qui entrano in gioco la classe, il talento e lo stile di Reisz.

Perché Una spiegazione per tutto è una storia stratificata e vorticosa di sottotrame intrecciate con piacere cristallino, a partire dalla presenza continua di Gyorgy, il padre di Abel (Istvan Znamenak), gentiluomo di mezza età, borghese e dichiaratamente anticomunista (il comunismo sovietico dell’invasione armata del ’56 ndr), una sorta di legame altrettanto spiritoso sia con il mondo del lavoro giovanile (le battute corrosive con il giovane collega che vuole emigrare perché il lavoro dei suoi sogni merita applausi) e con le radici culturali del suo Paese di fine Novecento. Niente di noioso o noioso, anzi.

Il film frizza giocosamente come una bottiglia di vino fermentato e poi schiuma tra ricami poetici e sognanti e la dura legge del senso di appartenenza patriottica. Srotolato nell’arco di sette giorni consecutivi, suddiviso in graziosi titoli di capitoli giornalieri, ambientati in uno solo Budapest Un’estate calda e perennemente grigiastra, supportata da una presenza vitale di telecamera a mano con pentole slap pan, il film di Reisz raggiunge il suo climax nel soggiorno della casa della famiglia di Abel dove Gyorgy e Jakab si scontrano, senza che Reisz inclini a squilibrate lezioni di morale: l’illiberale nazionalismo orbanese di Fidesz contro la corruzione globalista e fintamente socialista dei tecnocrati dilaganti come Gyurcsany che esplode in una disputa maledettamente profonda ma apparentemente da bar. Figura generale di Una spiegazione per tutto: sembra un film leggero e invece è un piccolo gioiellino. Vincitore di Sezione Orizzonti a Venezia 2023. Reisz aveva già fatto centro nel 2018 con qualcosa di altrettanto esilarante Poesie pessime. Nelle sale italiane grazie a I Wonder.

 
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