Indiana Jones e il Tempio Maledetto, 40 anni di un gioiello a lungo incompreso – .

Indiana Jones e il Tempio Maledetto, 40 anni di un gioiello a lungo incompreso – .
Indiana Jones e il Tempio Maledetto, 40 anni di un gioiello a lungo incompreso – .

Indiana Jones e il tempio maledetto ancora oggi è considerato da molti il ​​capitolo meno riuscito della saga. Le critiche all’epoca furono molto severe con la seconda avventura dell’iconico archeologo, che infatti a casa non ha fruttato tanti soldi quanto sperato ed è stato definito eccessivamente violento, gigantesco, oscuro e decisamente troppo distante da ciò che c’era di buono nel primo, iconico film. Eppure, a distanza di 40 anni, dobbiamo ammettere che questo prequel è e resta un gioiello, sicuramente quello con cui Indiana Jones è entrato in frontiere inesplorate e ha rivelato davvero molto di sé, demistificandosi allo stesso tempo.

Un viaggio tra cene horror, preti pazzi e insetti disgustosi

Indiana Jones e il tempio maledetto quarant’anni dopo continua ad avere una fama piuttosto particolare, cioè quello di una sorta di corpo estraneo all’interno di una saga che, a dire il vero, ha offerto di peggio, nonostante la sua dimensione iconica. Per molti all’epoca, questo prequel ambientato nel 1935, in un’India che sembra uscita da una sorta di fantasy cinematografico e romanzo d’epoca, fu un passo falso, con il quale Steven Spielberg e George Lucas rischiarono di annullare quanto di buono c’era stato in passato. Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta. Quel film ci ha fatto conoscere questo stranissimo professore di archeologia, che ogni volta scappava dalla sua scrivania per perdersi in giro per il mondo. Indiana Jones e il tempio maledetto in realtà ha avuto una genesi un po’ particolare.

George Lucas aveva inventato il personaggio, poi lo aveva affidato all’amico Steven Spielberg per crearne una trilogia, il quale aveva tirato fuori quel capolavoro che tra antiche reliquie bibliche, nazisti sanguinari e questo avventuriero era diventato un mito. Lucas nella sceneggiatura, poi portata avanti dal duo Willard Huyck E Gloria Katz, legato al meglio dei fumetti e dei film d’avventura degli anni ’40 e ’50. Tuttavia Spielberg non aveva molte idee da fornire, solo sequenze che aveva rifiutato per il primo film. Tuttavia, sia lui che Lucas sono stati influenzati dal turbolento periodo personale per quanto riguarda l’atmosfera e i personaggi, premesso ciò entrambi erano stati coinvolti in due dolorose separazioni coniugali. Indiana Jones e il tempio maledetto fin dall’inizio fu caratterizzato non solo da una notevole quantità di violenza, ma anche da una concentrazione di elementi horror così generosa da risultare quasi incredibile in alcuni momenti. Eppure, 40 anni dopo, è solo uno dei tanti elementi del film che meritano di essere rivalutati.

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Indiana Jones e il tempio maledetto ho visto Indiana Jones (Harrison Ford) alle prese con Lao Che, un boss della mafia cinese di Shanghai. La scena iniziale del film passerà alla storia non solo per l’ovvio riferimento a James Bond, ma anche per aver introdotto il personaggio dell’orfano Shorty (Jonathan Ke Quan). La relazione tra i due sarà per Spielberg l’ennesima opportunità da portare al centro il tema padre e figlio, che aveva già trovato il suo posto due anni prima ET. La parte di “Beauty in Distress” toccò all’allora sconosciuto Willie Scott (Kate Capshaw). Willie era assolutamente distante da Marion de Predatori dell’arca perduta, E vanitoso, egoista, pigro, loquace, pauroso, viziato ma il film lo ha reso una sorta di comico. I tre, giunti fortunosamente in India, saranno coinvolti nella ricerca delle cinque pietre di Sankara e dei figli degli abitanti locali, rapiti dal folle sacerdote della Dea Kali, Mola Ram (Amrish Puri).

Una volta arrivati ​​al Palazzo Pankot, tra Indy e Willie nascerà una notevole tensione sessuale, altra novità della saga. Dominano erotismo, horror e ironia Indiana Jones e il tempio maledetto dall’inizio alla fine. Ed eccoci qui a ricordare cuori strappati dal petto, uomini zombie da pozioni magiche, sfortunati mangiati dai coccodrilli, infilzati, malintenzionati schiacciati da macchinari industriali. Ma se c’è una sequenza diventata iconica, e che rappresenta l’anima del film, è quella della cena dal giovane Maharaja Zalim Singh, dove gli sceneggiatori hanno inventato letteralmente di tutto per mettere in tavola. Teste di scimmie, serpenti, scarafaggi e zuppe con gli occhi stupirono i critici dell’epoca. Gaffe? Boutade? Eccesso di manierismo? NO. Così come non lo erano le infinite orde di disgustosi insetti che i tre trovarono nel sotterraneo Tempio del Male, tutto rientrava in una precisa intenzione narrativa.

Un parco divertimenti cinematografico dalle mille anime

Indiana Jones e il tempio maledetto a prima vista è una sorta di negazione di ciò che dovrebbe avere un film per famiglie. Eppure la realtà era quella tutto è stato bilanciato collegando l’avventura con la commedia slapstick, la narrativa esotica con il concetto di parco divertimenti cinematografico. Ma è un film di Spielberg da cima a fondo, basta fare attenzione alla presenza di certe situazioni narrative, con il banchetto che anche qui segna l’inizio di una nuova fase del racconto. Poi arriva la distruzione della perfezione dell’eroe, fondendo insieme più emozioni continuamente, alternandole. Perché sì, Indiana Jones e il tempio maledetto è un film in cui l’orrore, lo spavento, la paura, hanno sempre un tono scherzoso, eccessivo, quasi infantile. Fate attenzione alla lunghissima sequenza dello scontro nella miniera, dove entrano anche loro bambole voodoo, giri in tram ed esplosioni.

 
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