Eresia senza redenzione. Pinocchio di Francesco Nuti – .

Eresia senza redenzione. Pinocchio di Francesco Nuti – .
Eresia senza redenzione. Pinocchio di Francesco Nuti – .

Il film OcchioPinocchio, diretto e interpretato da Francesco Nuti (di cui pochi giorni fa ricorre l’anniversario della morte) è uscito nelle sale cinematografiche nel 1994. Considerato tra i film più cupi e dimenticati del regista toscano, è però quello che più si adatta assumere una dimensione simbolica. Quest’opera segna, infatti, la conclusione, o una delle possibili conclusioni, di quel peculiarissimo fenomeno che ha caratterizzato il cinema italiano tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 – e che, qui, potremmo definire , in breve, tragicommedia: una commedia, cioè, che rivela, in fondo al suo tratto ironico, le caratteristiche della malinconia, del chiaroscuro, dell’impossibilità di arrivare a una Fine decisiva. Una stagione cinematografica capace di raccontarci, artisticamente, quella parte finale del declino di una Kultur (italiana ma, più in generale, europea) le cui radici si intravedono già alla fine degli anni ’60.

Di questa commedia del tramonto, della ricerca degli scarti, Francesco Nuti è l’artista, oggi, più ai margini e OcchioPinocchio costituisce, di questo futuro oblio, una tappa fondamentale: è, infatti, l’opera che segna la conclusione del suo periodo creativo – un film maledetto, non del tutto lucido, molto difficile da produrre, oltre ad avere scarso successo, sia di critica che commerciale. La fine del Nuti artista coincide così con una delle possibili conclusioni di quella tragicommedia italiana, il cui finale, a sua volta, ci ricorda il crepuscolo di quell’arte del tramonto e la conseguente introduzione in una nuova Cultura – che ancora abitiamo. oggi – ora alla ricerca di forme artistiche nuove e diverse. È proprio, però, in virtù di questi motivi che OcchioPinocchio andrebbe rivisitato: in questo film di scarto troviamo, infatti, il simbolismo di una fine, sia artistica che storica, che dovremmo, forse, reinterpretare, per comprenderne meglio condizione desertica della nostra attuale forma di vita.

Dovremmo allora chiederci: davvero Occhiopinocchio può essere considerato un fallimento? Quale versione di Pinocchio vuole restituirci Francesco Nuti, quale possibile riattualizzazione – quale rapporto cioè instaura tra questa favola eterno e la società contemporanea? Tra i lavori del regista toscano, è sicuramente il più ambizioso: lo si può infatti leggere anche come la ricerca di quel riconoscimento totale che, a un certo livello – problema che sarà condiviso anche da altri protagonisti di questo stagione cinematografica – può essere considerata una costante mancanza. E, però, sarà proprio questo il film in cui Nuti sarà meno riconosciuto – proprio nel film, cioè, in cui tenta quel salto, senza rinunciare ai tratti caratteristici della sua fondazione tragicomica.

In ogni caso OcchioPinocchio, pur essendo un film simbolo dell’incompletezza artistica di Nuti, andrebbe riletto ancora oggi per molteplici ragioni, sia artistiche che artistiche. senso stretto sia per la possibilità di comprendere alcuni passaggi storici molto importanti: per il fatto, quindi, che rappresenta, plasticamente, un’arte del tramonto che è, a sua volta, tramontante, ma anche, e soprattutto, perché quest’opera è capace di entrano in conflitto, anche oggi, con la nostra contemporaneità. La favola di Pinocchio, infatti, viene attualizzata con l’obiettivo di criticare ciò che viene definito mondo civilizzato – sulle tracce di quel bellissimo album di Edoardo Bennato, uscito nel 1977, intitolato, appunto, Burattino senza fili. Non più, quindi, un Pinocchio in formazione, che deve progredire, civilizzandosi, per entrare finalmente nei meccanismi della Società, ma piuttosto un Pinocchio eretico, deviante, che proprio in virtù di questa anomalia strutturale è in grado di svelare le crepe, gli scarti , le marginalità prodotte, continuamente, da un mondo solo apparentemente in armonia.

Un Pinocchio barbaro, radicalmente alternativo a quel mondo dell’alta finanza in cui si trova a dover vivere: alienato dalla Civiltà, incapace di comprenderne le regole e i codici, desidera così fuggire – andare oltre confinare – in direzione di un mondo diverso e di una forma di vita diversa. Lungi dall’essere un Bildungsroman teso verso un’integrazione finale, qui il movimento è opposto, illustrando piuttosto il lato oscuro di quel mondo formalmente ordinato – mostrando, cioè, quegli sprechi che non si integrano, e fanno di tutto per non integrarsi . Una rappresentazione che, però, sembra incapace di andare oltre l’impossibilità dell’integrazione – l’orizzonte della lotta sembra, infatti, impossibile all’interno di una società monolitica che assume sempre più il carattere diirredimibile. Il Pinocchio di Nuti è dunque una sconfitta a priori, rappresentazione di una marginalità definitivamente bandita da una società sempre più difficile da affrontare, e che fatica, nonostante gli sforzi, a trattenere qualcosa di quella cultura al crepuscolo: ancheanticodi fronte al nuovo che avanza, sembra pronunciare parole impossibili da comprendere a causa del contesto circostante.

Così, ciò che ora sembra restare, anche come futura possibilità di riscatto, è la dimensione del racconto: raccontare storie di marginalità, senza riscatto immediato, nella speranza che qualcuno o qualcosa, in un futuro diverso, possa ricomporle. – salvandoli, così, dall’oblio – dai rifiuti e dalle rovine. È per questi motivi che una delle chiavi del film sta nella descrizione di quel rapporto, via via sempre più intimo ed emotivo, tra quel deviato di Pinocchio e Lucia (rappresentazione femminile di Lucifero), un criminale in fuga dalla polizia. . Come per Pinocchio, così anche per Lucy, la lontananza dalla Civiltà rappresenta, però, la possibilità di preservare qualcosa – se non altro il pensiero in altro modo – almeno in una prospettiva esistenziale: Lucy, infatti, nonostante la sua dimensione di colpa, nonostante le sue cicliche atrocità, è quella capace di conservare la passione per la marginalità – di essere affetta da una sincera pietà per quel Pinocchio mai cresciuto, fino al punto di rischiare la propria esistenza pur di salvarlo da morte certa. Così, anche in questo caso, la narrazione convenzionale della fiaba viene ribaltata: Pinocchio e Lucia, entrambi senza possibilità di riscatto immediato, conservano infatti, nella loro marginalità, la possibilità di un’utopia futura, di un mondo antitetico a quello Civiltà dominante. E, tuttavia, nel presente – in una società in cui la voce della marginalità è sempre più ridotta – ciò che resta sembra essere solo la possibilità di descrivere antropologie ed esistenze, eretiche e residuali, ma sempre più rassegnate, cioè difficilmente convertibili in potenziale sovversivo o spazio rivoluzionario.

 
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