“L’Italia deve fare di più per farsi trovare pronta” – Il Tempo – .

Edoardo Sirignano

16 aprile 2024

«L’attenzione è massima. Abbiamo sempre il dovere di mitigare eventuali rischi. L’Italia farà la sua parte, ma nessuno degli Stati europei, come sostiene Einaudi, è in grado di sostenere i costi di una difesa autonoma”. Lo afferma Francesco Paolo Figliuolo, Comandante Operativo del Vertice Interforze.

Alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente, come dovrebbe muoversi il nostro Paese?
«Nelle situazioni complesse bisogna essere sempre vigili. Abbiamo pronto un piano di emergenza per quanto riguarda i nostri uomini e donne all’estero, così come abbiamo avviato tutte le procedure relative alla protezione delle nostre forze. Sulla base delle direttive dateci dal ministro Crosetto e dall’ammiraglio Cavo Dragone, il Covi ha attuato quanto previsto”.

L’Italia è pronta?
«Come ha ribadito il ministro Crosetto, l’Italia deve certamente fare di più per farsi trovare pronta. Lo strumento militare viene utilizzato sulla base di risoluzioni del governo e con l’autorizzazione del Parlamento. Detto questo, abbiamo il dovere di essere preparati ad ogni eventualità. La situazione internazionale impone che ci sia molta cautela e che si pianifichi sempre al meglio”.

In questa prospettiva, la collaborazione con gli altri Paesi dell’Unione Europea è molto importante…
«Sono diversi decenni che si riflette su una difesa comune. Nell’evoluzione del processo europeo siamo partiti da un approccio funzionalista. Pragmaticamente, l’integrazione economica avrebbe dovuto portare anche all’integrazione politica. Lo stesso De Gasperi, nel 1952, inserì la clausola che ancorava l’integrazione militare all’unione politica. Ma il processo di ratifica fallì in Francia e nel 1954 il progetto fu accantonato. C’è ancora molto da fare per quanto riguarda il coordinamento delle azioni. Lo stesso vale per ciò che riguarda gli interessi nazionali comuni percepiti e dichiarati. Dovrebbero essere gli stessi, sia che facciamo parte dell’Europa settentrionale o meridionale. In questo senso è necessario uno sforzo maggiore”.

Quale potrebbe essere un segno?
«Un commissario Ue alla Difesa potrebbe sicuramente essere un segnale importante in questo senso».

Nel frattempo, viste le contingenze, c’è bisogno di un tesoro comune?
«Avere risorse economiche non è sufficiente per avere capacità militari. Ci sono procedure che devono essere eseguite insieme. Lo stesso ragionamento vale per la formazione del personale, per la quale occorrono tempistiche ben precise. Alcune cose non si possono improvvisare. La sinergia industriale è essenziale. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, gli Stati membri dell’UE hanno aumentato significativamente le spese militari. Da un totale di 240 miliardi di euro nel 2022 si è passati a 280 nel 2023. Significativo l’aumento degli investimenti militari (+20%). Ci sono però ancora aspetti che possono essere migliorati”.

A cosa si riferisce?
«Ogni Stato spende per se stesso e si coordina poco con gli altri. Inoltre continuiamo ad acquistare troppo fuori dall’Europa. Stiamo cercando di invertire la tendenza, ma c’è ancora molto da fare. Una notizia positiva, ad esempio, sono i 500 milioni di euro per aumentare la produzione industriale di missili e munizioni per artiglieria”.

Che ruolo può giocare l’Italia in questa partita, considerato il suo ruolo storico di mediatore?
«Un caso che deve far riflettere è l’operazione Aspides. Approvata con insolita rapidità dall’Unione Europea (si poteva fare meglio), la missione in difesa della libertà di navigazione in risposta agli attacchi degli Houthi contro le navi nel Mar Rosso funziona bene e potrebbe anzi fungere da modello anche per quanto riguarda la questione della difesa europea rispetto alle nuove minacce. Possiamo parlare di un vero e proprio laboratorio, dove l’Italia è protagonista, avendo a bordo il comando tattico”.

 
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