“Abbiamo bisogno di un cambiamento radicale.” La (quasi) discesa in campo – .

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L’Europa deve agire unita “come mai prima d’ora” per competere ad armi pari con Stati Uniti e Cina. E dimostrare così che è «adatto al mondo di oggi e di domani». È il “cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno” che Mario Draghi proporrà nel suo rapporto sulla competitività dell’Ue, il piano più atteso a Bruxelles ma che l’ex numero uno della Bce ed ex primo ministro italiano svelerà solo dopo i colloqui europei. elezioni. Ieri, però, Draghi ha snocciolato alcune anticipazioni “sulla filosofia alla base di questo rapporto” e sul lavoro che porta avanti da quando, lo scorso autunno, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen gli ha affidato l’incarico, un impegno che lo ha ha portato nel frattempo ad intensi confronti sia con i membri dell’esecutivo Ue che con i ministri dell’Economia dei Ventisette, eurodeputati, industriali e sindacati. Una presa di potere per l’Europa come sperano in molti, in Italia ma anche in Francia (vedi Macron)? Forse. Non ancora, a quanto pare. Ma quello che è certo è che è suonata nelle orecchie la famosa conferenza stampa del “nonno al servizio delle istituzioni”, nel dicembre 2021, con la quale Draghi ha fatto capire di essere disponibile a diventare Capo dello Stato. di diversi osservatori.

IL RAPPORTO

Draghi ha parlato da La Hulpe, alle porte di Bruxelles, dove si è tenuta la due giorni di incontro sul Pilastro dei diritti sociali dell’Ue organizzata dal Belgio, che detiene la presidenza di turno del Consiglio. Dalle tecnologie alle materie prime, l’Ue è finora priva di una vera strategia industriale per competere allo stesso livello di americani e cinesi, “malgrado una serie di iniziative positive”, ha affermato l’ex primo ministro. Secondo lui, “l’errore dell’Europa in tutti questi anni è stato quello di cercare avversari al proprio interno”, nella corsa tra le economie nazionali dell’Ue, anche in settori come “la difesa e l’energia dove abbiamo forti interessi in comune”. Di fronte ad una bilancia commerciale positiva, “non consideravamo la nostra competitività esterna un problema serio”; ma ora “il mondo sta cambiando rapidamente” e sono le altre potenze, da Pechino a Washington, “che non rispettano più le regole e stanno sviluppando politiche volte a rafforzare la loro posizione” con l’obiettivo di “riorientare gli investimenti verso le loro economie verso il nostro danno o, peggio ancora, di renderci permanentemente dipendenti” dalle loro forniture. Per poter tornare a competere – questa è la ricetta di Draghi – l’UE deve lavorare di squadra e appianare le differenze. Un discorso che rientra sicuramente nell’ambito dell’attuale compito di Draghi, ma che potrebbe essere letto come un programma per un candidato alla presidenza della Commissione, viste anche le difficoltà di von der Leyen.

Il rapporto si concentrerà su dieci macrosettori dell’economia, ha spiegato l’ex primo ministro, perché “sono necessarie azioni immediate nei settori più esposti alle sfide verdi, digitali e di sicurezza”. Un esempio concreto del consolidamento necessario lo forniscono le telecomunicazioni: «Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori Ue, ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli Usa e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra. Uno dei motivi di questo divario è che in Europa abbiamo 34 gruppi di rete mobile (e questa è una stima conservativa) che spesso operano su scala nazionale, rispetto ai tre negli Stati Uniti e ai quattro in Cina”. E poi c’è il capitolo sull’integrazione del mercato dei capitali, «una parte indispensabile della strategia di competitività: l’Ue ha risparmi privati ​​molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero. in un mercato dei capitali più ampio”. Si tratta di un tema che si trascina da un decennio e tornerà sul tavolo dei leader riuniti oggi e domani per un vertice straordinario, con l’obiettivo di compiere qualche passo avanti verso la liberazione del potenziale del risparmio privato accanto agli investimenti pubblici. Ma il Consiglio europeo, nelle sue conclusioni, chiederà anche un “Competitiveness Deal”, un patto per la competitività. In attesa della strategia Draghi, i capi di Stato e di governo ne parleranno domani con un altro ex premier italiano, Enrico Letta, che, su mandato del Consiglio, ha redatto un rapporto complementare sulle sfide per il mercato unico.

GLI INCARICHI FUTURI

E a margine del vertice, l’ultimo prima del voto Ue di giugno, si tornerà a discutere sotto tono anche tra i vertici, in attesa di valutare i risultati alle urne. La “carta” Draghi, che potrebbe aspirare a un ruolo di potere, è una costante sul tavolo; e rimane così dopo un discorso che ha ricordato ad alcuni osservatori di Bruxelles i contorni del “tutto ciò che serve” al momento della crisi dell’Eurozona. Un mezzo riconoscimento è arrivato addirittura da un illustre e insospettabile personaggio: l’ungherese Viktor Orbán, il “Mr. no” tra i leader dei 27. Interrogato a margine di un evento al Parlamento Ue, non si è tirato indietro: «Mi piace Draghi; Non so »se sarà presidente della Commissione«, ma è bravo». In Italia interviene il ministro dell’Agricoltura meloniano Francesco Lollobrigida: «Draghi? Siamo felici che personalità autorevoli, che hanno avuto modo di giocare un ruolo in Europa in questi anni, siano ora disposte a mettere in luce quali sono stati gli errori del passato”. Parole che non suonano certo come un “sì” troppo convinto all’opzione Draghi. La Meloni, si sa, è alla finestra: forse non sarà lei a giocare la carta di SuperMario, ma difficilmente potrà dire di no se verrà messa sul tavolo. Più entusiasti i sostenitori Draghi d’Italia: da Renzi a Calenda, passando per Lupi. Con una battuta che comincia a circolare: «Sempre che non faccia la fine del Colle…». Vedremo.

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Il Messaggero

 
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