“Nella giungla si sente l’odore della morte” – .

“Nella giungla si sente l’odore della morte” – .
“Nella giungla si sente l’odore della morte” – .

DiSara Gandolfi

Al “Coyote Passage”, sul fiume Suchiate, dove ogni giorno passano 5.000 persone sperando di raggiungere il sogno americano. Il progetto AVSI a tutela dei bambini

DAL NOSTRO REPORTER
Duy Sierra sta sulla riva del fiume con le braccia incrociate, il pigiama con gli orsetti ormai sbiaditi e lo sguardo una ragazzina di quindici anni che ha visto troppo, eppure finge di non aver paura. “Ho sentito odore di morte nel bosco, mi hanno palpato, mi hanno derubato, mi hanno detto cose sporche, ma non mi arrendo, la notte dormo lì e guai a chi mi tocca”, dice indicando all’unica piattaforma di legno sopra pietrisco. Dormire tranquilli ha il suo prezzo, come tutto il resto qui. Il “proprietario” dell’area, mezzo addormentato su un’amaca, è un uomo di un cartello della droga. Siamo al “passaggio del Coyote” di Ciudad Hidalgo, su uno dei confini più pericolosi del mondo, tra Messico e Guatemala.

Sul ponte Rodolfo Robles, il confine ufficiale, è tutt’altro che un mezzogiorno infuocato. I soldati della Guardia Nazionale ammazzano il tempo sgranocchiando un mango mentre una manciata di scooter vanno e vengono tra una barriera e l’altra.

È sotto e attorno al ponte, sul fiume Suchiate, che la vita scorre frenetica. A destra, merci di ogni genere vengono spostate su zattere fatte di pneumatici e assi di legno. A sinistra le merci sono persone, uomini, donne e tanti bambini. Salvadoregni, guatemaltechi, nicaraguensi, cubani, venezuelani, ecuadoriani, haitiani, africani, asiatici. Ne passano 5000 ogni giorno. Tutta la vita dentro piccoli zaini logori dalla fatica del viaggio.

I barcaioli (i “coyote”) come Caronti al contrario ti portano dall’inferno a sperare per 600 pesos messicani, circa 35 euro. Quelli che non hanno più soldi guadano il fiume, con l’acqua sporca fino alla vita e lo zaino in testamentre i bambini provano a fare i bambini e si tuffano a giocare.

Il 90% persiste a salire a Sonora o a Chihuahua per attraversare l’ultima frontiera, quella tra Messico e Stati Uniti, che li separa dal sogno americano, anche se il presidente americano Joe Biden, nel tentativo di controllare il flusso, a pochi mesi dalle elezioni, ha appena firmato un ordine esecutivo che limita l’ingresso a 2.500 migranti al giorno. Una volta superata la soglia, chi entra illegalmente può essere rimandato a casa. Durante la pandemia, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, detto Amlo, ha accettato di accogliere 30.000 immigrati deportati dagli Stati Uniti con il programma Quedate en Mexico (rimanere in Messico). Anche questa volta sembra che Biden si sia consultato con il collega.

Quel 10% che, per stanchezza, paura, mancanza di soldi, si registra come richiedente asilo in Messico non appena varcata la frontiera meridionale, entra invece nel percorso istituzionale, sotto l’ala protettiva dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), che gestisce un efficiente centro di attenzione nella città di Tapachula dove ogni giorno transitano 500-600 migranti. Qualche mese di attesa, i più fortunati nel rifugio modello “Hospitalidad & Solidaridad”, con scuola, infermeria e cibo per tutti. E se la richiesta viene accolta – in media il 65% ottiene asilo – vengono ricollocati in altre zone del Messico.

«Da Paese di transito è diventato anche Paese di destino e di integrazione»spiega Giovanni Lepri, rappresentante dell’UNHCR in Messico. «Negli ultimi anni ha ricevuto oltre 100mila richieste di asilo all’anno, provenienti da più di cento nazionalità diverse». Il vicino del Sud si è così trasformato in un muro più efficiente di quello costruito da Clinton e Trump. Biden chiede ora a López Obrador di arginare le carovane di migranti già alle porte del Guatemala. In cambio, il Messico vuole investimenti miliardari e la legalizzazione di almeno 10 milioni di immigrati ispanici già residenti negli Stati Uniti. Un tema molto caldo per la neoeletta presidente Claudia Sheinbaum.

Al “Passo del Coyote” La venezuelana Maria Rodriguez cucina riso e verdure in padella sull’erba, tra cani randagi che lottano per nulla e bambini seminudi che strisciano nel fango. Ha pagato mille dollari per arrivare qui, vuole riunirsi alla sua famiglia in Texas: «Mi hanno avvertito: “dopo le zattere tenete duro, inizierà il terrore”. Aspetto che ci chiamino per salire sui camion del governo messicano, c’è gente bloccata qui da un mese. Mi spaventa restare e mi spaventa andare avanti”. Gli autobus sono un’idea del presidente Amlo per decongestionare la frontiera: portano i migranti a Tuxla Gutierrez, 400 chilometri più a nord, dove distribuiscono un volantino con la scritta “Hai 10 giorni per regolarizzarti”. Nessuno fa.

Da lì in poi non esiste un percorso sicuro, né sul tetto della Bestia, il treno merci della morte, né nei vagoni dei polleros, i mercanti di uomini.
Dopo la giungla di Darien, tra Colombia e Panama, dopo i ricatti e le estorsioni di criminali e guardie corrotte, chi vuole salire negli USA deve ora attraversare gli oltre 3.000 chilometri del Messico, costellati di trappole e gestiti in gran parte dai cartelli della droga – Sinaloa, Jalisco Nueva Generación, le mafie regionali – che si contendono il ricco business dei migranti. L’ecuadoriana Fernanda, 30 anni, non si ferma. Tre settimane in strada con i suoi tre figli, sull’autobus, a piedi, in taxi, anche sulle piroghe: «Una volta ci abbandonarono in mezzo al nulla, dopo che avevo già pagato il viaggio, ma almeno nessuno mi violentò”. Sa che il peggio deve ancora venire, in rifugi che hanno poco in comune con quello dell’UNHCR.

I più vulnerabili sono donne e bambini. La Fondazione AVSI italiana lavora da tempo con i migranti. «Siamo partiti con il progetto Inclusion Digna, finanziato dall’Unione Europea, sulla rotta migratoria del Pacifico», spiega Rossana Stanchi, responsabile AVSI in Messico. «Abbiamo osservato gli spostamenti, intervistato i minori e i genitori, quindi abbiamo sviluppato un modello educativo che tenta di essere un collegamento tra il nulla del migrante e la normalità, attraverso l’apprendimento e il gioco. Abbiamo dotato i rifugi di Oaxaca e Guadalajara di uno spazio gioco adeguato”. È iniziato a novembre il progetto «Juntos», finanziato dalla Commissione per le adozioni internazionali del governo italiano, di trasferire questi modelli anche in Chiapas e Tabasco, in quattro centri di accoglienza, ai quali forniscono anche i kit educativi. «Formiamo anche funzionari statali perché il tema dei diritti e della sensibilità va affrontato dall’alto», spiega Stanchi. “Vogliamo creare una rete di sicurezza per i bambini”.

Bambini che rischiano la vita insieme ai loro genitori. Mayte e Miguel, 24 e 27 anni, sono fuggiti in tutta fretta con i loro due figli da San Pedro Sula, in Honduras, perché minacciati dall’assassino di uno zio. «Abbiamo speso tutto quello che avevamo per arrivare qui. Molte persone ci hanno aiutato lungo il percorso quando si sono rese conto che non avevamo soldi o altro. Ma quando siamo arrivati ​​in Messico un ragazzo ci ha rubato tutto, l’ho denunciato e adesso minaccia di uccidermi e la polizia non lo arresta”, spiega il padre mentre la madre mostra un sacchetto con poco più di un cucchiaio di polvere latte all’interno. «È tutto ciò che mi resta per nutrire il mio bambino. Il mio sogno? Dimentica tutto e non avere più paura”, piange.

13 giugno 2024 (modificato il 13 giugno 2024 | 13:41)

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