la pace non si arrende – .

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Un grande successo”. Un “passo potente” verso la pace. Volodymyr Zelenskyj valuta con entusiasmo il vertice di Lucerna, il raduno dei leader mondiali sulle Alpi svizzere per aprire la strada verso una tregua nelle trincee a più di due anni dall’invasione russa. Guarda il bicchiere mezzo pieno, che si può tradurre così. Ottanta stati, dopo tre giorni di conclave, hanno firmato un documento che riconosce l’integrità territoriale ucraina come prerequisito per i futuri negoziati. E si torna a parlare di trattative, con nuova insistenza. Promette un secondo vertice, Zelenskyj, “nel giro di pochi mesi” e questa volta al tavolo potrebbe sedersi anche la Russia. Anche dal Cremlino sembrano aprire uno spiraglio, «Putin non rifiuta il dialogo», solo che la proposta russa è un ricatto inammissibile per Kiev: l’abbandono di quattro regioni occupate, il sipario sull’adesione alla Nato.

Vertice di pace in Svizzera: a cosa è servito? Il dialogo Russia-Ucraina, la Cina “attore maligno” e i Paesi contrari all’accordo

Dovrà fare i conti soprattutto con l’entusiasmo del presidente mimetizzato con la fredda realtà dei numeri. Il risultato del voto sulla dichiarazione congiunta finale appare sugli schermi del Bürgenstock, il resort di lusso affacciato sul Lago dei Quattro Cantoni. Si tratta di un documento scarno, faticosamente lucidato dai novantadue Stati che hanno inviato una delegazione in Svizzera. Pochi punti essenziali da cui partire, per porre fine al dripping nell’Est Europa.

L’impegno per la “sicurezza alimentare”, cioè l’esportazione del grano dal Mar Nero, l’iniziativa per isolare la centrale nucleare di Zaporizhzhia dai combattimenti con una “zona franca” sotto l’egida di Kiev. E ancora, il ritorno dei prigionieri ucraini e dei bambini rapiti dai russi, il rispetto della “integrità territoriale” del Paese aggredito. Ci sono alcuni punti, ma anche su questi la comunità internazionale non è unita. Dodici Stati si rifiutano di votare la dichiarazione congiunta. C’è l’India di Narendra Modi e l’Arabia Saudita di Bin Salman, seguite da Messico e Indonesia, Sud Africa e Libia. Il Sud del mondo resta a braccia conserte al vertice svizzero, gli Stati che rappresentano più di due miliardi di cittadini si rifiutano di parlare di pace in queste condizioni. Si tratta di una defezione studiata, d’accordo con la Russia che detiene la presidenza dei BRICS e che ha definito il vertice di Bürgenstock, nelle parole di Putin, “un trucco”. La Cina non si è nemmeno presentata. Tanto da rovinare la festa a Zelenskyj, nonostante la sfilata di leader occidentali saliti in alta quota per dimostrargli la loro vicinanza. C’è Giorgia Meloni che dopo qualche tentennamento decolla da Borgo Egnazia, una volta chiuso il G7 italiano, e consegna il suo “whatever it takes” alla plenaria svizzera. Il presidente del Consiglio italiano dice: «Caro Volodymyr, siamo qui per dirti che puoi continuare a contare su di noi finché ne avrai bisogno». Spiega che tutto sarà fatto “per unire gli sforzi, coordinare i partner”. Promesse non solo retoriche: il G7 “lui e lei” ha appena raggiunto un accordo su 50 miliardi di dollari in beni russi congelati da donare a Kiev entro la fine dell’anno. E in queste ore viene depositato al ministero della Difesa il nono pacchetto di aiuti militari: all’interno una batteria di Samp-T per difendere le città ucraine e, secondo fonti vicine al dossier, anche missili a lungo raggio, cruciali per far ripartire la controffensiva -offensivo . «Cari colleghi, pace non significa resa, come sembra suggerire Putin», incalza la Meloni. “Confondere la pace con la sottomissione è un precedente pericoloso per tutti”. È il leitmotiv dei leader europei accorsi in Svizzera insieme a Zelenskyj. Macron e Scholz, Sanchez e Ursula von der Leyen. «È fondamentale che l’Ucraina resista, Putin vuole la capitolazione e nessuno Stato potrebbe accettarla», afferma il presidente della Commissione che scommette anche sul granitico sostegno a Kiev per il bis a Palazzo Berlaymont. Ma le parole si scontrano con la realtà. Quello diplomatico è un rebus per il presidente ucraino. Zelenskyj guarda già a un “secondo vertice” per la pace.

LE TAVOLE

Non ci vorranno anni, “ma mesi, dobbiamo lavorare a livello tecnico e procedere velocemente”, spiega il leader, convinto che a Lucerna sia stato fatto un primo passo importante con il via libera a un documento che parli di “integrità territoriale” come prerequisito per un accordo. E fa un appello anche alla Cina, assente ma ospite impassibile del vertice: “vogliamo che sia nostra amica”. Poi c’è la realtà dei fatti che getta un’ombra sul leader della resistenza. La controffensiva è ferma, i russi avanzano a Kharkiv e Kherson, il “fango generale”, in estate, rallenterà le operazioni da entrambe le parti. Una finestra, forse, si era aperta due anni fa: i negoziati tra Mosca e Kiev, ospitati in Turchia nell’autunno 2022, erano arrivati ​​a un passo da un accordo, ha rivelato il New York Times. “No, quelli di Putin sono sempre stati degli ultimatum”, nega Zelenskyj. Il suo volto è segnato dalla stanchezza. “Come puoi essere sicuro che gli ucraini non siano stanchi della guerra?” chiede un giornalista. La fissa in silenzio, si toglie l’auricolare. Un lungo sospiro, poi un sorriso nervoso. “Non sono. Ma non siamo stati noi a scegliere questa guerra”.

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