“Volevano distruggermi, il processo è stato ingiusto” – .

“Volevano distruggermi, il processo è stato ingiusto” – .
“Volevano distruggermi, il processo è stato ingiusto” – .

“Non ho commesso nessuna frode o appropriazione indebita e lo grido forte. In un processo bisogna trovare i responsabili di chi ha fatto un uso smodato del denaro. E soprattutto di chi ha commesso un reato. Nego di essere stato tra questi, ho agito sulla base di quanto studiato e proposto dai nostri uffici. Inoltre l’investimento della somma è stato autorizzato dal mio Superiore, l’allora Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone”. Parla il cardinale (sospeso) Giovanni Angelo Becciu, ex Sostituto della Segreteria di Stato, condannato a 5 anni e 6 mesi per appropriazione indebita nello scandalo finanziario legato al palazzo di Sloane Avenue a Londra, un investimento immobiliare che ha causato oltre 200 milioni di perdite nette alle casse papali. Becciu ha deciso di parlare al Corriere della Sera “perché di fronte all’ingiustizia non si deve tacere. La Bibbia dice di non far tramontare il sole senza che venga resa giustizia ai poveri defraudati. Era considerato un peccato che gridava vendetta al cospetto di Dio. E da quasi quattro anni sono stato defraudato dell’onore, del ministero episcopale e della serenità. È molto più di un tramonto.”

«Sloane Avenue? Ho semplicemente seguito le indicazioni.”

“Per la Segreteria di Stato – spiega citando il caso per il quale ha ricevuto una condanna – c’era un ufficio specifico che si occupava di questa vicenda e io ho semplicemente seguito le loro istruzioni. Inoltre l’ufficio mi ha presentato come massimamente vantaggioso per la Santa Sede l’investimento che comprendeva anche il Palazzo di Londra. Dov’era il crimine? Ho forse ottenuto un vantaggio personale? Nessuno! E poi notare che quando la Segreteria di Stato decise di acquistare l’intera proprietà del Palazzo io non ero più Deputato”.

La telefonata a Papa Francesco

Quando è uscita la registrazione di una sua telefonata al Papa, racconta, “Sono corso subito da Papa Francesco per spiegarmi e scusarmi. E lui ha capito. Ero disperato, e la disperazione dell’imputato innocente è ancora più drammatica. Il Papa era appena uscito dall’ospedale e circolavano voci allarmanti sulla sua salute, con il processo che incombeva. Non volendo nominarlo come testimone, gli ho chiesto se poteva scrivere le cose che solo lui e io sapevamo: che mi aveva autorizzato a mediare per la liberazione di una suora colombiana in Mali. Mi ha chiesto di scrivere la lettera che poi gli ho inviato. Ma in risposta ne ho ricevuta una dura, severa, firmata da lui ma in una lingua che non era la sua, in cui non lo riconoscevo. Ho avuto dei dubbi. L’ho richiamato, perché era la mia unica salvezza. E ho registrato la nostra conversazione. Ma non ho mai utilizzato quella registrazione, né sono stato io a renderla pubblica”. E infine: “Purtroppo qualcuno ha detto al Papa tante falsità contro di me, dopo sette anni di rapporti leali e sinceri. Per me resta un buco nero. Dovevano distruggermi, senza processo. Speravano che mi ritirassi in Sardegna, senza combattere. Ma non l’ho fatto e non lo farò. Griderò al mondo la mia innocenza con la forza della verità. Una forza interiore che è ancora più forte da quando sono stato condannato.”

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