Il delitto | Mangalibri dal 2005, mai a dieta

Il delitto | Mangalibri dal 2005, mai a dieta
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Albeggia. Le onde del mare portano due seni completi di capezzoli ad un pescatore sbadigliante e stupito sulla riva. Spaiati dal resto del corpo a cui appartenevano. È l’inizio di una serie di scoperte prima macabre, poi soprattutto sempre più deliranti, che proseguiranno con due chiappe – non si sa perché, in questo caso mobili, dinamiche e rimbalzanti, difficili da afferrare, va detto – e poi , tra gli altri, con un ombelico, che come mera assenza è in realtà impossibile da vedere correttamente. Accanto alle parti del corpo progressivamente smembrate (e che il maniaco dovrebbe mantenere in vita cauterizzando gradualmente le ferite), vengono ritrovati biglietti con enigmatici messaggi di sfida alle autorità. A seguire il caso viene assegnato un anonimo commissario, il narratore della storia, che fin dall’inizio non sembra tanto interessato agli sviluppi dell’indagine, ma piuttosto concentrato nel far vagare la mente lungo arditi sentieri esistenzialisti, basati principalmente sull’acido nichilismo. . L’unico essere con cui, inizialmente, si relaziona, al di là dei brevi e bruschi contatti con colleghi e superiori, è una sorella costretta su una sedia a rotelle: lo chiama abbastanza spesso, sembra avere qualcosa di serio da comunicargli, ma le conversazioni sono sempre ferme sul nascere, tra problemi alla rete telefonica e la scarsa voglia del commissario di ascoltarla e tanto meno di farle visita. Intanto l’opinione pubblica insorge, il commissario non sa da che parte girarsi e si ritrova intrappolato tra riflessioni personali, attacchi dei superiori e la tenace insistenza della sorella per incontrarlo…

Si tratta di un romanzo di genere, certo, ma di un genere a sé stante, che potremmo definire il “genere Rezza”. L’apparenza di una trama vale solo come contorno, occasione e pretesto per una serie infinita di motti spiritosi, citazioni letterarie, giochi di parole che, presenti in massa in quasi ogni frase, decostruiscono i canoni consueti del linguaggio narrativo, dopo aver smontato quelli del romanzo poliziesco, che presto evolve nel grottesco. Tutto ciò richiede da parte del lettore – peraltro espressamente schernito più volte dal Commissario, in una improvvisa e consapevole immedesimazione con il narratore – una notevole pazienza per riportare all’unità i periodi, i paragrafi e i capitoli del libro tanto quanto possibile. Ma non c’è unità, se non nell’intento, appunto, di sfuggire a ogni convenzione: dal giallo si passa al grottesco e poi all’esistenzialismo; dal linguaggio narrativo comunemente inteso si passa a uno sperimentalismo fatto di sciarade, allitterazioni ardite, battute dall’aulico al volgare finché, per poche pagine, ci si limita alle equazioni matematiche! Lo smembramento del corpo della donna vittima del maniaco senza volto è lo stesso smembramento prima del genere e poi del linguaggio a cui assistiamo procedendo nella lettura. Pur lasciando qualcosa dentro il lettore, soprattutto nelle meditazioni che qui si svolgono sul ruolo della famiglia e della società – per lo più considerate deleterie – nella vita dell’uomo e dell’artista, l’opera è sufficientemente accessibile solo a chi sa già cosa aspettarsi da un autore così atipico, anche se seriamente degno di nota soprattutto in ambito teatrale. Il lavoro è così non convenzionale – e così pensato per stomaci forti, soprattutto nelle ultime cinquanta pagine! – che sia molto sorprendente che Aurelio Picca lo abbia consigliato per il Premio Strega, sottolineando “la verità espressa da queste pagine, capaci di descrivere nobili e poveri con lo stesso realismo”. In un’intervista Rezza ha dichiarato di ritenere che dover seguire per iscritto una trama o una qualsiasi successione obbligata di eventi sia troppo stringente e schiavizzante, perché questo modus operandi convenzionale allontana l’autore dalla possibilità di poter esprimere l’ignoto. C’è da chiedersi, però, se i quindici/sedici anni che, nella stessa intervista, l’artista dichiara essere stati il ​​periodo complessivo di gestazione dell’opera, non l’abbiano resa un po’ troppo disarmonica, tra una prima parte che, pur nella sua stranezza, riesce anche a divertire e un secondo in cui l’autocompiacimento prende il sopravvento negli scherzi sul lettore, nella distruzione della prosa e nelle idee a volte un po’ troppo volgari.

 
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