«Il linguaggio più adatto per parlare di moda è quello della filosofia» – .

«Il linguaggio più adatto per parlare di moda è quello della filosofia» – .
«Il linguaggio più adatto per parlare di moda è quello della filosofia» – .

Riavvolgiamo il nastro. Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
«Alessandro immaginava da tempo di scrivere un libro e voleva farlo con un filosofo. Come raccontiamo anche nelle pagine, ogni sua sfilata, da quando è diventato direttore creativo di Gucci, è stata accompagnata da micro trattati di filosofia. Quindi per lui dare vita a un libro di questo genere significava fare un po’ lo stesso tipo di operazione”.

Alessandro Michele

©Fabio Lovino

Come hai impostato il lavoro e costruito la narrazione?
«Conversare molto. Abbiamo iniziato a parlare a distanza durante il periodo Covid perché non potevamo incontrarci. Per molto tempo abbiamo avuto lunghe sessioni di dialogo che poi abbiamo registrato. Da qui, poi, è nato il libro che è il risultato di una serie di intense conversazioni, tenute anche dal vivo appena ce n’è stata la possibilità.”

Il tuo è un trattato di moda e di filosofia. Come si incontrano questi due mondi apparentemente distanti?
«Non sono lontani. Da quando Alessandro ha iniziato a disegnare collezioni per Gucci, ha introdotto una pratica diversa nel mondo della moda. Il comunicato stampa non era più un semplice commento didascalico sulla collezione, ma una vera e propria riflessione filosofica. Il primo, ad esempio, era un’indagine sul significato dell’essere contemporanei. Si è iniziato con una citazione del filosofo italiano Giorgio Agamben e si è concluso con una di Roland Barthes, suggerendo come per essere contemporanei non sia necessario rinnegare il passato, ma solo avere un rapporto libero con il proprio passato. Ma potremmo citare anche la riflessione su amicizia e costellazioni a partire dal rapporto tra Walter Benjamin e Hanna Arendt per lo spettacolo pugliese, o quello per la sfilata, forse tra le più famose, Cyborg, che aveva chiari riferimenti a Donna Haraway e Michel Foucault. Da sempre porta avanti l’idea che il linguaggio più adatto per parlare di moda sia quello della filosofia. Da un lato perché è un modo per rivendicare una complessità che la società in generale non riconosce nella moda, dall’altro perché, oltre ai pregiudizi legati al sessismo e all’ignoranza, c’è un problema di conoscenze di base, di storia stessa, di cui, in parte, sono responsabili anche le case di moda”.

Valentino, Alessandro Michele è il nuovo direttore creativo

Finita l’era Pierpaolo Piccioli, la maison Valentino guarda al futuro. O meglio, al presente. E nel nuovo qui e ora c’è lui: Alessandro Michele, l’ex direttore creativo di Gucci, che con la sua roboante cifra stilistica aveva contribuito a rendere il marchio fiorentino uno dei più desiderati al mondo

Freccia

Vale a dire?
«Perché infatti non aprono gli archivi ed è complicato fare la storia se non puoi sapere, per esempio, quali look ha sfoggiato Margiela nelle sue prime dieci sfilate. La responsabilità è in qualche modo condivisa, non è solo aziendale. Le grandi case di moda stanno ormai scoprendo il valore del loro archivio, ma lo trattano come un bene commerciale e non tanto come un bene storico, come un patrimonio che appartiene all’umanità. È un malinteso che non riescono a scuotere. Proprio come la parola che circola all’interno di queste grandi case è completamente riservata. C’è un rapporto molto strano con la creazione di questi grandi imperi, completamente diverso da quello di altre discipline artistiche o delle grandi gallerie. Immaginate se Hauser & Wirth nascondesse l’intero archivio di uno dei suoi più grandi artisti per il rischio che venga copiato! C’è un malinteso fondamentale”.

Quale?
«La moda non è ciò che sono diventati i costumi nel Novecento. Quando le grandi avanguardie artistiche dettavano che il programma dell’arte dovesse coincidere con la vita, esisteva già un manufatto artistico che per natura è vicino a tutti, che tutti portano con sé, e lo portano sulla superficie della pelle durante tutta la giornata, o il vestito. La moda è l’avanguardia delle avanguardie artistiche perché è una sorta di cavallo di Troia che permette all’arte di restare sulla pelle del corpo di chiunque. Fu agli inizi del Novecento che ebbe inizio la grande trasfigurazione di quello spazio inizialmente adibito ad altri fini – il costume doveva segnalare distanze sociali ed economiche – in un luogo attraverso il quale gli artisti, ma in realtà chiunque, rivendicava la libertà e la capacità di dare forma. Si tratta allo stesso tempo di una sorta di esplosione e di universalizzazione dell’arte, ma anche del fatto che l’arte diventa una sorta di operazione metafisica su se stessi, il che significa decidere cosa siamo, che non siamo più quello che eravamo ieri, ecc. Per questo la filosofia, o il pensiero su come funziona il mondo, avrebbe dovuto avvicinarsi alla moda molto prima.”

 
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