Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari [libro] – .

Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari [libro] – .
Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari [libro] – .

La frase più bella del libro inchiesta Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari (Paesi Edizioni) è quello che riporta quanto detto Bill Shankly, leggendario allenatore del Liverpool: “Molte persone credono che il calcio sia una questione di vita o di morte, non solo non sono d’accordo con questa affermazione, ma posso assicurarvi che è una questione infinitamente più importante”. Un’iperbole che mette d’accordo tutti gli amanti del calcio ma, come spiega Rocco Bellantonecuratore del volume realizzato da diversi autori, il calcio, oltre ad essere un business multimiliardario, è anche una questione di fede.

Nella prefazione, Roberto Tottoli, professore ordinario di Studi islamici e rettore dell’Università L’Orientale di Napoli, prova a sintetizzare i temi affrontati nel saggio: “Sul calcio il dibattito all’interno del mondo musulmano è molto aperto. Ci sono autorità religiose e membri di comunità islamiche che bollano questo sport come “proibito”. Negli ultimi decenni, in particolare, diversi studiosi musulmani hanno assunto una posizione radicale nei confronti del calcio, dichiarando che deve essere vietata soprattutto la visione, poiché ciò creerebbe situazioni di promiscuità e sentimenti di imbarazzo in chi assiste alle partite. Altri studiosi, invece, danno un giudizio positivo sull’attività fisica e sportiva nel suo complesso, e quindi anche sul calcio, purché non danneggi l’integrità del corpo umano e finché le pratiche sportive non inducano alla visione delle parti intime degli atleti”, scrive.

“Ci sono realtà marcatamente tradizionaliste come i talebani in Afghanistan, o organizzazioni jihadiste come i nigeriani di Boko Haram e i somali di Al Shabaab, che, riferendosi agli imam radicali, impongono il divieto assoluto di giocare a calcio per impedire l’adozione di pratiche straniere nei territori da loro controllati. Prevalgono, invece, visioni più permissive, attraverso le quali chi detiene il potere cerca di cavalcare il fenomeno sportivo per ottenere consensi. Dall’Asia Centrale all’Estremo Oriente, e soprattutto in Nord Africa, l’attenzione a ciò che accade nel calcio è quindi sempre più evidente. Un caso emblematico di questa tendenza è quello dei Paesi del Golfo. Questi paesi, fortemente radicati nelle visioni tradizionali dell’Islam fino a vent’anni fa, hanno aumentato il loro interesse per il calcio e, sulla base di questo, sono cambiati molto rapidamente negli ultimi anni. Ci sono paesi come il Qatar, a cui è stato assegnato il premio Mondiali di calcio 2022in cui assistiamo ad un’apertura controllata”.

I paesi del Golfo

Rocco Bellantone, giornalista e cofondatore della casa editrice Paese Edizioni, analizza la svolta storica dei Mondiali di calcio organizzati nel 2022 nel regno del Qatar, un evento che ha cambiato le sorti della fede mondiale che ha un solo tempio : il campo da calcio . “E poi c’è il Dio denaro, lo stesso che nel 2010 indicò la strada che avrebbe portato nel piccolo ma agguerrito emirato del Qatar per l’organizzazione dei Mondiali di calcio 2022. Una svolta storica e che di fatto, da allora, ha proiettato il mondo del calcio che conta – quello europeo per intenderci – in una fase nuova”, scrive nell’introduzione. Lo conferma Marco Bellinazzo, giornalista di Il sole 24 ore. “Tutto è iniziato nell’estate del 2008 con l’acquisizione del Manchester City da parte dello sceicco arabo Mansour bin Zayed Al Nahyan” – spiega – “Poi nel 2010 c’è stata l’assegnazione dei Mondiali di calcio al Qatar e successivamente l’acquisizione del Paris Saint Germain dell’imprenditore qatariota Nasser Al-Khelaïfi. Questi tre tasselli cambiano lo scenario del calcio internazionale in cui un’area geografica si fa spazio e diventa improvvisamente protagonista di una serie di acquisizioni di alcuni dei club più importanti d’Europa, al punto da arrivare dove fino a qualche anno fa sarebbe stata difficile immaginare un qualsiasi tipo di interesse del Qatar e, soprattutto, dell’Arabia Saudita”. Una storia che si intreccia continuamente con la controversia sui diritti umani, ecco lavaggio sportivol’uso del calcio come strumento di soft power per le potenze del Golfo.

Frutto di un lavoro collettivo (Marco Cochi, Beniamino Franceschini, Stefano Piazza, Marco Spiridigliozzi Davide Vannucci), il libro racconta aneddoti e passioni segrete per il calcio, anche da parte di tiranni e terroristi. Erdoğanper esempio, era un attaccante ed era soprannominato Imam Beckembauer; Osama Bin Laden non era solo la mente di Al-Qaeda, ma anche un tifoso dell’Arsenal; il dittatore Saddam Hussein (che torturavano e condannavano a morte i calciatori quando sbagliavano o li facevano giocare con un pallone di cemento armato, ndr) aveva reclutato addirittura quattro allenatori brasiliani definiti I Califfi di Baghdad. Davide Vannucci, ad esempio, racconta la storia del sultano turco e le connessioni tra politica e calcio in Turchia. E racconta anche la storia di Hakan Sukur, gloria del calcio anatolico che entra nell’arena politica e, nel duello tra Erdogan e Gulen, finisce in esilio in California. “La Turchia vuole l’Europa ma l’Europa non vuole la Turchia: la parabola di Hakan sembra quasi il simbolo di questa mancata integrazione”, scrive Vannucci. Ora Hakan è un autista Uber.

Segui i soldi

Nel capitolo Segui i soldi Stefano Piazza racconta invece la storia dei fondi sovrani dei Paesi del Golfo “che sono entrati a gamba tesa in questo business portando sul tavolo una capacità di spesa illimitata, grandi ambizioni, e soprattutto la forza economica e politica per superare i momenti di crisi che nel calcio sono inevitabili”. E descrive nei dettagli l’assalto del Qatar, che usa lo sport come strumento di espansione economica e politica nell’ovest. Una crescita che avviene anche attraverso altri investimenti, dagli immobili alle moschee e ai centri culturali – soprattutto in Francia, ma anche in Spagna (dove Piazza parla del fallito caso dell’acquisto di Malaga) e in misura minore in Italia – e che porta a riflettere sul dilemma del rapporto tra Europa e Fratelli Musulmani.

I Califfi di Baghdad

Marco Spiridigliozzi si concentra sulla storia dei Califfi di Baghdad, quattro allenatori brasiliani scelti dal dittatore Saddam Hussein per guidare la nazionale irachena ai Mondiali messicani del 1986. L’autore di questo capitolo racconta anche la storia dell’allenatore brasiliano Jorvan Viera, che guidò la nazionale irachena alla vittoria della Coppa d’Asia nel 2007 e racconta la parabola di Pelè iracheno: Younis Mahmoud, il capitano che segnò il gol della vittoria nel finale a Giakarta contro i sauditi. “Il traguardo che tutto l’Iraq attende da sempre”, scrive Piazza. Unito, con attori sunniti, sciiti e curdi, l’Iraq aveva vinto. Una favola che resterà nei libri di storia del calcio.

La stretta di mano tra iraniani e americani

Un’altra gemma che il profano scopre Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari è l’unica stretta di mano conosciuta tra iraniani e americani. Accadde nel 1998 a Lione in una partita in cui le due squadre rivali, escluse dal Mondiale, furono tuttavia sotto i riflettori per paura di attentati. Attraverso il sorteggio è toccato agli iraniani incontrare gli americani per la rituale stretta di mano. La leggenda narra che l’Ayatollah Khamenei ordinò ai suoi giocatori di non muoversi. Sono stati gli americani andati incontro ai giocatori iraniani a ricambiare il saluto, lanciando un irripetibile segnale di distensione.

Il divieto dell’Iran alle donne e agli stadi utilizzati per le esecuzioni in Afghanistan

Il resto è noto: in Iran le donne non possono entrare negli stadi e tutti conoscono la storia eroica di Sahar Khodayari, 29 anni originaria del villaggio di Salm, morta il 29 settembre 2019 dopo essersi data fuoco per evitare di essere sottoposta a violenza. il processo che l’ha accusata di essere entrata in abiti maschili nello stadio, chiuso alle donne dal 1981, due anni dopo l’ascesa al potere dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Gli altri capitoli raccontano le storie travagliate dei calciatori africani che si intrecciano con le rotte migratorie e il traffico di minori; il calcio bandito dai talebani, lo stadio utilizzato per le esecuzioni durante il primo regime degli studenti coranici, la fuga di tutti i calciatori dopo il ritorno al potere.

Calcio e jihad

Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari si conclude con un’analisi di Marco Cochi sul rapporto tossico tra calcio e jihad. E come la passione smodata degli africani per il calcio viene osteggiata dai gruppi islamisti. Eppure tra i jihadisti troviamo anche i calciatori. Come il tunisino Nizar Trabelsi, arrestato dalla polizia belga due giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle: aveva intenzione di far esplodere 950 kg di esplosivo nella base militare di Kleine-Brogel. Molti anni prima era arrivato in Belgio per calciare un pallone, giocando anche in Bundesliga, prima dell’oblio e della radicalizzazione che lo portarono in Afghanistan, dove Osama Bin Laden gli aveva affidato la “missione” sei mesi prima dell’11 settembre. ” per distruggere le statue del Buddha nella valle di Bamiyan. Ora sta scontando una condanna all’ergastolo in America.

Il centravanti e la Mecca. Calcio, Islam e petrodollari è un libro ricco di suggestioni e utile anche perché aiuta a comprendere la geopolitica attraverso la fede universale nel calcio.

 
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