“Aziende al collasso. Il ricavato non compensa i costi di produzione” – .

“Vogliamo produrre cibo, non debito”. Questo lo slogan, accompagnato dal rombo dei trattori in movimento, ripetuto a gran voce dai agricoltori irpini che questa mattina sono scesi in piazza nuovamente ad Avellino per comunicare alla società civile i disagi e le difficoltà dell’intero mondo agricolo e chiedere un confronto tecnico con le istituzioni per presentare istanze e probabili soluzioni per uscire dalla crisi. Quella di oggi, dedicata al tema del reddito, è la prima delle sette giornate tematiche centrali svolte nei diversi territori italiani e rappresenta anche il primo atto dell’alleanza stretta da allevatori, agricoltori, pescatori, braccianti e cittadini nell’ambito della campagna nazionale “99 giorni per salvare l’agricoltura e la pesca riaprendo la speranza”.

Gli agricoltori irpini manifestano davanti alla Camera di Commercio

Ad Avellino, il manifestazione per il diritto al reddito d’impresa, al salario e al cibo giusto per i cittadini, che ha visto la partecipazione di associazioni, amministratori locali e rappresentanti della Chiesa accanto agli agricoltori diretti, ha avuto inizio da piazza della Libertà da dove il corteo si è avviato verso piazza Duomo, sede della Camera di Commercio, con lo scopo di consegnare all’organizzazione un documento, la stessa che sarà sottoposta anche al sottosegretario Patrizio La Pietra.

A dare sostegno ai manifestanti è stato il Vescovo di Ariano Irpino, Mons. Sergio Melillo, che ha dichiarato: “Credo che sia mio dovere e compito essere qui oggi. La Chiesa, esperta di umanità, deve avere maggiore e particolare attenzione verso i territori che vivono difficoltà come quelle legate al mondo dell’agricoltura. Ad Ariano Irpino il tema della crisi del settore agricolo è molto sentito perché riguarda gran parte della comunità e il futuro del territorio oltre che la qualità dei prodotti che produciamo e il reddito legato al lavoro e al sacrificio degli agricoltori e degli allevatori”.

Presente al corteo anche il sindaco di Taurasi, Antonio Tranfaglia: “Oggi i contadini sono scesi in piazza non per scioperare ma per lanciare un appello per farsi ascoltare. L’auspicio è che le loro richieste vengano discusse e accolte perché portare avanti tutti questi problemi non è semplice. I costi sono aumentati e portare avanti le attività, soprattutto quelle più piccole, è diventato impegnativo. Siamo in grado di produrre ottimi vini e cibi ma serve quel margine che ci permetta di tenere vive le imprese”. Al fianco dei contadini che protestavano anche il sindaco di Villamaina, Nicola Trunfio: “Sono in piazza prima di tutto come cittadino, penso che sia nostro dovere sostenere i manifestanti, che stanno protestando legittimamente e in modo civile. Un atteggiamento che testimonia la nostra educazione e tradizione. Credo che questo sia il momento giusto per riportare l’attenzione sulla disparità tra i prezzi delle materie prime, nel caso dell’Irpinia di alta qualità, e la disuguaglianza che si verifica nei passaggi successivi verso l’ingrosso e il dettaglio. Dovrebbero essere dati maggiori compensi, in termini percentuali, agli agricoltori che non chiedono sussidi ma un riconoscimento reale del loro lavoro”.

“Qualsiasi iniziativa che voglia affrontare la crisi del settore agroalimentare deve basarsi sulla priorità di restituire valore alla redditività”

“Il Made in Italy – si legge nel documento presentato alla Camera di Commercio – non ha più garanzie di rapporto e connessione con i territori ma, divenendo il risultato di strategie commerciali e industriali che considerano il cibo solo una merce, svuota le sue caratteristiche per inondarle mercati di prodotti di dubbia qualità”. “Il Made in Italy diventa un’etichetta largamente contraffatta, utile solo per conferire un vantaggio competitivo per strategie di marketing speculativo. Questa trasformazione epocale, oltre ai grandi problemi ambientali, all’insicurezza alimentare e al diritto al cibo dei cittadini, pesa in modo insopportabile sulle condizioni di lavoro e di vita e sulla sopravvivenza delle imprese produttive agricole, ittiche e artigianali, sulla condizione dei lavoratori nel settore dell’approvvigionamento catene, sulla stabilità delle nostre zone rurali che si stanno spopolando”.

“In sintesi, mina gli interessi generali del Paese e delle sue comunità, costringendoci a sostenere enormi costi sociali ed economici dovuti all’abbandono delle attività di cura del territorio, alla crisi economica delle aziende, alla perdita di posti di lavoro. Per questo ogni iniziativa, sia di riforma strutturale che di urgenza ed emergenza, che miri ad affrontare la crisi del settore agroalimentare non può che basarsi sulla priorità di ridare valore alla redditività dei settori produttivi minati da crisi profonde che vedono erosione dei margini economici”.

“In generale crescono le difficoltà di tutte le piccole e medie imprese produttive, artigiane, familiari e non, costrette spesso a produrre sottocosto e in perdita sia per il vertiginoso aumento dei costi sia per la strategia di le piattaforme di distribuzione commerciale che conducono un processo che impone prezzi sul campo e sulla barca ben al di sotto dei colossi aziendali facendo leva sull’invasione di prodotti importati a prezzi stracciati” si legge più avanti nel documento.

 
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