Archiviate le liste, Schlein tenta di riunificare il Pd – .

Archiviate le liste, Schlein tenta di riunificare il Pd – .
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AGI – Il barometro del Pd, dopo settimane di tempesta, sembra finalmente volgere verso la calma. Effetto della vigilia del 25 aprile e del ponte che regala ai dem un ultimo giorno di clima scolastico. Ma soprattutto il fatto che, archiviate liste elettorali e logo, il Pd ora sa che è meglio evitare polemiche e litigi interni per concentrarsi sul risultato delle elezioni europee. In Transatlantic le correnti si mescolano per augurarsi “buon 25 aprile” e darsi appuntamento per la ripresa dei lavori. Dietro l’apparente pacificazione, però, le diverse anime del Partito Democratico ribollono di attività. La sfida del 9 giugno è quella che può segnare il futuro di una segreteria.

Il segretario rifiuta di fissare l’asticella, ma è indicato nel Pd 20% come soglia minima per non dover parlare di sconfitta. Tuttavia, pochi nel partito ci credono Elly Schlein rischi di essere vanificato, anche in caso di risultato negativo. Mancanza di alternative, si spiega. E poi “non è necessario”, aggiunge una fonte democratica. Il ragionamento è che Schlein potrebbe restare al suo posto, magari “sostenuta” da un presidente potente che le subentrasse Stefano Bonaccini, con le valigie già pronte per Strasburgo. Naturalmente non c’è motivo di considerare l’impegno europeo come un ostacolo al mantenimento di Bonaccini nella carica di presidente del Partito Democratico. Tuttavia, secondo una corrente di pensiero presente tra i dem, la mossa del presidente dell’Emilia-Romagna potrebbe fornire il pretesto per tornare attivamente in campo Paolo Gentiloni.

Il commissario Ue agli Affari economici, infatti, scade tra un anno e il suo ritorno a Roma farebbe piacere a molti. Anche per questo c’è chi liquida l’ipotesi come un pio augurio e chi la legge attraverso la lente dei movimenti tra le correnti. L’idea del nome nel simbolo, infatti, sembra essere nata durante le conversazioni tra Elly Schlein e Stefano Bonaccini. Una soluzione con cui il primo puntava a raccogliere consensi anche fuori dal perimetro del partito. Il secondo è riuscito a garantire il voto ai candidati della sua zona, altrimenti a rischio se il segretario fosse comparso in tutte le circoscrizioni. Un risultato che Bonaccini, tra l’altro, ha ottenuto garantendo posizioni strategiche ai suoi giocatori.

Nonostante ciò, il presidente del Pd è oggetto di critiche da parte di una parte della minoranza interna che ritiene poco incisiva la sua azione di contrasto alla segreteria. Ma sono soprattutto la costruzione dell’area e il lavoro di costituzione di Energia Popolare a non soddisfare alcuni esponenti di spicco della minoranza. E il fatto che sia stato proprio Bonaccini, in qualità di presidente del Pd, a portare la proposta del nome alla dirigenza non ha aiutato a calmare gli animi. Anzi: anche esponenti molto vicini al presidente, come Stefano Lepri e Silvia Costa, sono intervenuti per fermare immediatamente la proposta.

Se nella minoranza gli animi sono agitati, le cose non vanno meglio all’interno della maggioranza dem. Là proposta sul simbolo elettorale causò malumori anche tra membri della segreteria del PD come Peppe Provenzano e Marco Sarracino. Ma anche Andrea Orlando ha storto il naso all’idea di inserire nel logo il nome del segretario. E l’ex ministro del Lavoro è stato protagonista di una presa di posizione che suona come un monito al Nazareno. Poco prima del voto di Bruxelles sul nuovo Patto di stabilità, Orlando aveva sottolineato ai giornalisti: “Spero che il nostro gruppo a Strasburgo respinga nettamente la proposta di riforma del Patto di stabilità. Un voto diverso finirebbe per annacquare un giudizio negativo sull’incompetenza del negoziato del nostro governo e sul tradimento che il Consiglio Ue ha commesso rispetto all’ottima proposta della Commissione, realizzata grazie al prezioso lavoro di Paolo Gentiloni”. Parole che stridono da un lato con la linea seguita dalla delegazione del Pd in ​​Europa, che si è astenuta dal voto per non ‘rompere’ con il resto del Pse. E per non dare, dall’altro, l’impressione di voler rinnegare l’opera di Paolo Gentiloni.

Fatto sta che ieri, a poche ore dal voto, Orlando torna sull’argomento: «Gentiloni aveva fatto una proposta di riforma del Patto di stabilità che il Consiglio Ue ha modificato e che secondo me inizialmente rispecchiava più lo spirito del Next Generation e le sfide che l’Europa si trova ad affrontare”, spiega Orlando. “Una serie di interventi di paesi come Francia e Germania hanno ridotto gli strumenti di cui l’Europa avrà nei prossimi anni”. Il risultato, per Orlando, è “un Patto di stabilità che contrasta con una maggiore ambizione europea e con l’interesse nazionale, un fatto piuttosto paradossale per un governo che doveva andare in Europa per battere i pugni sul tavolo e ottenere condizioni migliori”. Un fallimento per il governo, quindi. E, certo, non una carezza per il gruppo uscente di Bruxelles e per il segretario che ha benedetto la via dell’astensione, dopo aver criticato aspramente il Patto e il governo per non essersi opposto a sufficienza: “Noi voteremo contro questo compromesso al ribasso”, è stato è infatti la linea espressa da Schlein il 5 marzo, poche ore dopo che il Consiglio europeo aveva dato il via libera alla riforma del Patto.

 
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