Le Opinioni | 25 aprile: ottant’anni non sono bastati – .

Le Opinioni | 25 aprile: ottant’anni non sono bastati – .
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Ci siamo illusi in tutti questi anni che il 25 aprile diventasse davvero un giorno del ricordo comune. La Repubblica ormai ha la vita media di un italiano. Il tempo di una generazione dovrebbe essere la garanzia della formazione di una coscienza collettiva. Tuttavia, un periodo così lungo di democrazia repubblicana non è bastato per provare insieme – senza amnesie o inutili distinzioni – orrore e vergogna per la tragedia di una dittatura che ha trascinato l’Italia in guerra. Cioè fare i conti pienamente con la Storia, scrollandosi di dosso, ad esempio, la retorica autoconsolatoria del “gli italiani sono brava gente”. Ottanta anni non bastarono perché tutti maturassero orgoglio e gratitudine, senza troppa retorica, per il coraggio dei partigiani e di tutti coloro che si ribellarono al nazifascismo. Né per meglio esprimere la gratitudine nazionale verso i soldati che dissero no a Salò, finiti internati e dimenticati nel dopoguerra. Noi italiani del secolo successivo, che respiriamo aria di libertà come se fosse una condizione naturale della storia, avremmo avuto lo stesso coraggio di quei nostri concittadini? E rischiare la tua vita, anche quella della tua famiglia, per il tuo Paese?

La consapevolezza di un sentimento comune sulle radici autentiche della nostra Repubblica, che per fortuna è antifascista, non significa che tutti debbano pensarla allo stesso modo. È sinceramente inutile chiedere continuamente a chi è più preda della nostalgia, anche nella classe dirigente attualmente al potere, di dichiararsi antifascista quando non lo è. Meglio una sincerità che fa discutere che un’ipocrita frase di convenienza.

Quello di oggi è la Festa della Liberazione dalla dittatura fascista, dall’occupazione nazista, dalle leggi razziali, non è una generica Festa della Libertà, annacquato per accontentare tutti. Né la possibilità di parlare d’altro, della guerra in Ucraina o del conflitto in Medio Oriente. Dovremmo chiederci – ma è successo tante volte in passato – se caricare questo solenne appuntamento di temi legati all’attualità, giusta o sbagliata che sia, non finisca per snaturarne la natura. Non relegare in secondo piano gli italiani coraggiosi che hanno lottato contro il totalitarismo. La giornata è dedicata soprattutto a loro e ai valori che incarnavano. Combatterono il nazifascismo sotto bandiere diverse e ideologicamente opposte. Formazioni che, se fossero state intrise del particolarismo e del personalismo della politica contemporanea, non avrebbero sconfitto, accanto alle truppe alleate, le peggiori dittature del Novecento, consentendo all’Italia di restare nel libero Occidente.

Ogni 25 aprile, così febbrile per la concentrazione di controversie già destinate, da domani, al precoce oblio, dovremmo fare un piccolo esercizio: recitare una sorta di preghiera laica. Qualunque sia la nostra opinione. Andate a rileggere gli scritti di qualcuno che stava per dare la vita al proprio Paese (concetto su cui siamo tutti d’accordo, vero?) e aveva perso ogni speranza. Con la consapevolezza, però, che il suo sacrificio non sarebbe stato vano. Suo Lettere dei condannati a morte della Resistenza, 8 settembre 1943-25 aprile 1945 (Einaudi). Uomini, donne, persone di tutte le classi e di tutte le età. Parole strazianti, profonde, di grande amore per l’Italia. C’era anche chi chiedeva perdono per il dolore che avrebbe inflitto ai propri familiari. A quasi ottant’anni di distanza dovremmo chiederci se non sia opportuno, almeno qualche volta nella nostra immemorabile attualità, chiedere loro perdono.

24 aprile 2024

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