Mikachan, il piccolo ristorante giapponese alle porte di Roma, perennemente sold out – .

È un posto insolito Mikachan. Per la posizione, innanzitutto. AInferno, in quella zona dell’Agro Romano prossima alla costa ed urbanizzata in maniera non sempre regolare nel dopoguerra. Un sobborgo residenziale in cui, dietro un edificio con zona commerciale, farmacia, parrucchiere e pub, l’ingresso nascosto dietro una recinzione di vimini, si nasconde un posticino annunciato solo da una piccola lanterna giapponese.

Il successo di Mikachan

Insolito, Mikachan, anche perché il segno non è la traduzione di qualcosa di esotico, come i fiori di ciliegio o i cieli orientali, ma è un omaggio alla sua creatrice, l’italiana, romana, Micaela Giambanco, ispirata fin da piccola in viaggio verso il Giappone dall’amore per karate e poi colpita dalla sua cucina. Mika-chan (che suona come un vezzeggiativo, la piccola Michela) è lei, ancora quella ragazzina conquistata dalla cultura di un paese tanto lontano quanto irresistibile, anche oggi che il luogo in cui vive aperto nel 2018 con il marito Paolo – anche lui appassionato di Giappone – è un caso da tempo, con una lista d’attesa di sei mesi, menzioni sulla stampa nazionale e stima da parte del mondo più difficile, ancor di più per una donna, quello dei ristoratori giapponesi (Giambanco E parte dell’AIRGl’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi, fondata vent’anni fa a Milano da decani del settore come Hirazawa Minoru, di Poporoya).

L’izakaya dell’Inferno

Nelle serate normali, dal giovedì alla domenica, la sala Mikachan è animata da un’atmosfera vivace e conviviale: meno di venti posti a sedere cinque tavoli, scaffali pieni di prodotti che celebrano l’immaginario pop del Giappone, tra snack e bevande coloratissime. Dopotutto è un segno creato traendo ispirazione izakaya, le taverne giapponesi dove si va a condividere un bicchiere di sakè e qualche piatto confortante. Il mercoledì, però, il tono cambia: le luci si abbassano, l’unica zona illuminata è il contatore, sette posti per i tanti ospiti che si affidano allo cheffe con il menù omakase, che, appunto, si traduce con “mi fido di te”.

Mercoledì omakase

Insieme agli eventi speciali, forse la serata omakase del mercoledì il modo più semplice per ottenere un posto ambito con Mikachan. Se, infatti, per il menù à la carte dell’izakaya, durante la settimana, le prenotazioni sono piene da mesi, qui l’impegno è più oneroso e seleziona a monte i clienti: il menù degustazione, per 120 euro, viene comunicato anticipatamente agli ospiti, ma per confermare la prenotazione dovrà essere effettuato contestualmente anche il pagamento. Sono previsti solo sette posti, le materie prime selezionate appositamente per l’occasione: non ci si può permettere nemmeno di non presentarsi.

La magia del sushi

Con un sottofondo di jazz giapponese e Micaela Giambanco dietro al bancone a officiare il rito – e coinvolgere i commensali con racconti sulla cultura del Paese del Sol Levante – le danze iniziano con un aperitivo leggermente alcolico, che apre la strada, volendo, all’abbinamento con uno dei scopo selezionati in casa. Sul menù si legge Perle di mare in un nido di agrumi e arriva il gustoso boccone uova di salmone marinate opportunamente su una sfera di riso Yume Nishiki Vercelli con polvere di yuzu.

E il momento di nigiri, il momento in cui la chef si mette in gioco davanti agli ospiti. Dispone i coltelli, mostra la scatola contenente, come gioielli, i pesci scelti per la serata, ne spiega caratteristiche e abbinamenti: foglie di shiso, yuzu, soia light, soia tradizionale, wasabi (la pasta è ottenuta dalla vera radice grattugiata che proviene dal Giappone), ogni condimento è dosato al millimetro, non esistono ciotoline di salse a discrezione degli ospiti, bisogna affidarsi a lei per non rovinare la magia dell’equilibrio tra pesce e riso che contraddistingue ilarte del sushi. Magia che si compie con l’incedere dei calamari selvatici, della spigola, della ricciola dalla pelle flambé, della vongola artica, dell’acciuga, del tonno, del tonno marinato, della capasanta dell’Hokkaido e del riccio di mare: tagli, consistenze, scioglievolezza, concentrazione sul sapore del mare, è tutti qui . Il picco è raggiunto.

Un menu ortodosso

Potremmo finire qui e sarebbe già un’esperienza completa, ma il viaggio che Giambanco riserva ai suoi ospiti prevede una vera e propria immersione nella tradizione giapponese: il sunomono (che si traduce “cibo condito con aceto”) con verdure e gamberi è davvero fresco come promette il menù, i cetrioli e le alghe hanno una croccantezza soddisfacente. IL sgombro alla grigliacon le ossa, come fanno in Giappone, è gustoso e molto tenero, particolarmente gradevole da mangiare con le bacchette, anche per i non addetti ai lavori.

IL chawanmushi Spring (budino) è un concentrato di umami, tra cui uova, katshuobushi, funghi shiitake, setoso e suadente, riesce a conquistare anche chi solitamente non ama i budini. Segue lo spuntino di alghe fritte contenente uova di spigolaochazuke di stagione: sul riso condito con verdure e altri ingredienti viene versato il tè che lo trasforma nella classica zuppa serale fatta in casa, forse troppo semplice a questo punto del menu. Che invece finisce meglio con il gelatina di umeshu e sakura: un vero inno alla primavera, è un mangia e bevi incentrato sul delicato liquore di prugna, con sbalzi di temperatura che esaltano anche il profumato fiore di ciliegio. Una tazza di tè è l’ultimo addio, a tarda notte, con cui si saluta il Giappone per tornare a casa, a Roma.

 
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