Da Venezia a Pechino. “Noi, come Marco Polo, arriveremo in Cina. Ma in bicicletta” – .

Da Venezia a Pechino. “Noi, come Marco Polo, arriveremo in Cina. Ma in bicicletta” – .
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Venezia, 28 aprile 2024 – Quando risponde al telefono, poche ore prima della partenza, è intento a trascinare la sua bicicletta sotto la pioggia battente di questa bizzarra primavera, tra le calli veneziane. Ma non sono certo poche le gocce che destano preoccupazione Alberto Fiorin, 64 anni, chi – insieme al compagno di tante avventure su due ruote Dino Facchinetti, 67 anni – pedalerà lungo la Via della Seta sette secoli dopo il suo concittadino Marco Polo. Partiti giovedì da Venezia, a bordo di due biciclette gravel (non elettriche e adatte allo sterrato), dotate di 4 borse per un peso complessivo di 18 chili, Fiorin e Facchinetti pedaleranno per 100 giorni e 12mila chilometri.

Fiorin, come è nata l’idea?

“Viene da lontano. Il 25 aprile del 2001 partivo da Venezia con un gruppo di nove ciclisti per raggiungere Pechino in bicicletta. A Jesolo, al venticinquesimo chilometro della prima tappa, ho avuto un incidente che mi ha costretto al ritiro. Ma quella voglia di pedalare fino a Pechino e rendere omaggio a Marco Polo non si è mai spenta. Dopo 23 anni e tanti altri viaggi su due ruote eccomi di nuovo qui.”

Perché in bicicletta?

“È il mezzo più adatto per mille motivi, tra cui, primo fra tutti, la lentezza del viaggio. Settecento anni fa Marco Polo disponeva di mezzi di trasporto altrettanto lenti, il suo viaggio durò tre anni. Ripercorrere le terre del ‘Million’ con veicoli più veloci Non avrebbe avuto senso.”

Come è strutturato il vostro itinerario?

“Attraverseremo 12 paesi: Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaigian, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan e Cina. L’itinerario è composto da 85 tappe, per una media di 140 chilometri al giorno. A questo si aggiungono 15 giorni dedicati a visite e incontri istituzionali in diverse città, da Sofia, in Bulgaria, a Istanbul, fino a Pechino”.

Il tuo obiettivo è diffondere un messaggio di pace attraverso il ciclismo. In che senso?

“La bicicletta è il simbolo di un approccio lento e non invasivo al territorio. Le nostre motivazioni non sono poi così dissimili da quelle che convinsero Marco Polo a intraprendere il suo viaggio nel Catai: il desiderio di conoscere altri mondi e altri popoli, ed entrare in contatto con loro per favorire il dialogo e la comprensione reciproca”.

La vostra spedizione, infatti, è stata inserita nel calendario delle iniziative promosse dal comitato istituito dal Ministero dei Beni Culturali per celebrare i settecento anni del viaggiatore.

“È stato un onore ricevere il loro patrocinio. Il loro ufficio di ‘diplomazia sportiva’, recentemente istituito, ci ha aiutato a entrare in contatto con le istituzioni e ottenere i visti d’ingresso necessari”.

Ti sei allenato per riuscire nell’impresa?

“Non siamo atleti agonisti, ma viaggiatori. Abbiamo compiuto altri lunghi viaggi su due ruote in varie parti del mondo e sappiamo bene che questo tipo di esperienze non richiede solo buone gambe, ma soprattutto ‘testa’. Capacità di adattamento, consapevolezza che incontreremo difficoltà nel reperire cibo e acqua, visto che attraverseremo anche zone desertiche”.

Oltre a presiedere uno storico club ciclistico (il ‘Pedale Veneziano’), hai scelto di non prendere la patente né guidare l’auto.

“È una scelta di rispetto per l’ambiente: fin da giovane ho sempre preferito mezzi di trasporto ecologici, come la bicicletta o i mezzi pubblici. I miei lunghi viaggi sono la prova che basta un mezzo di trasporto semplice e ‘spartano’ come la bicicletta per portarci dall’ ‘altra parte del mondo’.

Tornando alla tua spedizione, non c’è un pizzico di timore per la precedente esperienza del 2001, conclusasi prematuramente e in modo così sfortunato?

“Sarebbe umano: adesso siamo più grandi, la nostra vuole essere anche una sfida ai limiti di età. Ho paura che accada di nuovo? No, da quel punto di vista ho già dato (ride). Vuole sapere perché in tanti vorrebbero andarsene, ma poi davvero quasi nessuno lo fa?”.

Dimmi.

“Perché gli ostacoli sono nella nostra mente. Ci aggrappiamo a tante cose – oggetti, comodità, credenze – di cui crediamo di non poter fare a meno, dipendiamo da esse. Se potessimo eliminare il superfluo dalla nostra vita – proprio come facciamo con i nostri bagagli, sulle nostre biciclette – saremmo tutti molto più felici”.

 
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