Scrittori in Calabria, Sonia Serazzi parla del suo ultimo romanzo “Una luce abbondante” – .

COSENZA Sacravento è un grembo di povere creature che vivono controvento ma che sanno pregare. Sono “difettosi” e magici e vivono tra baracche di lamiera, sentieri polverosi, sacchi di spazzatura in prati verdi. I lettori che si immergono in “Una luce abbondante” diventano abitanti di questo Paese, dove «c’è qualcosa di sacro e qualcosa che soffia, come la voce dello spirito», dice l’autore. Sonia Serazzi è nata a Napoli e vive in Calabria, a San Vito sull’Ionio, appena 1600 abitanti. È gelosa della sua vita privata ed è inutile cercarla sui social. Non ha alcun profilo. Usa solo whatsapp su di lei e se sei fortunato puoi scambiare con lei messaggi vocali sulle piccole cose quotidiane, ma anche sull’universo. Restituisce la sua voce letteraria originale e dirompente, con la quale si è fatta conoscere con “Non c’è niente in Simbari Crichi”, romanzo d’esordio, pubblicato vent’anni fa e recentemente ristampato, e poi con “Il cielo comincia dal basso”.
Recentemente è uscito “Una luce abbondante” nella serie “Velvet” di Rubbettino.

È un libro popolato di bambini che crescono in fretta e di genitori che non diventano adulti. La protagonista è Francabbù dallo “sguardo appuntito”, una bambina che non vuole parlare e quando decide di farlo dice tutto in una frase. “Non è giusto!”. Vive con una madre “malata di sogni”, un modo dolce per l’autore di rifiutare la follia. La madre è Marinzaina, con sei dita in mano, accumulatrice seriale «perché tutto merita un posto nella vita»; raccoglie biglie di vetro ed è convinta di partorire angeli. Il padre di Francabbù è Silverio, un fallito come prete e come fornaio, un campione della generosità e dell’aiuto alla vita degli altri, un fornaio di lacrime più che di farina. Per entrare a Sacravento bisogna lasciarsi andare, come un tuffatore, mollare gli ormeggi e seguire l’onda di personaggi addolorati e feriti, con le loro storie crude in una scia di luce. Marinzaina, nella sua casa soffocata da mucchi di vestiti, scatole, giocattoli, pezzi di qualcosa raccolto tra i rifiuti della gente, accoglie Marsol, un bambino bulgaro che subisce violenza da parte di un vecchio, ma non lo riconosce come tale, perché non sa Cos’è. “Certi giorni l’innocenza è impossibile”, dice Francabbù. «Perché la violenza raccontata attraverso gli occhi puri di un bambino è qualcosa che non si può tollerare» dice lo scrittore. Poi c’è “Suor Teresa di Cristo e basta”, che si è tolta l’abito religioso e si prende cura di una bambina asmatica, attaccata ad una bombola di ossigeno che porta con sé nelle ludoteche e nelle stanze delle nuove confraternite.

L’autore è in tournée per incontrare i lettori. Il 9 maggio sarete alla “Fiera del Libro” di Torino, stand Rubbettino, alle 18, con Andrea di Consoli. Il 9 giugno sarà a Pizzo Calabro, libreria Streusa, e il 20 luglio a Roccella Jonica, Largo Rita Levi Montalcini. Alla Feltrinelli di Cosenza, in un fitto dialogo con la giornalista Alba Battista, ha commosso e incuriosito. All’“Isola del Tesoro” di Vibo Valentia, il libraio l’ha accolta con una bambola fatta a mano e un sacchetto di sfere colorate attaccato al suo vestito bianco e oro. Sonia Serazzi ama le biglie di vetro come la sua Marinzaina e come la scrittrice francese Colette. Li trovate anche nella casa a San Vito allo Jonio, ereditata dalla nonna paterna, dove ci sono tanti libri, mulini a vento e piccoli oggetti, ricordi di momenti preziosi. C’è una mucca di legno che piega le gambe se gli premi la pancia. Un giocattolo vintage a cui è molto affezionata perché le ricorda Chagall e il suo dipinto “La mucca con l’ombrello”. Nel mondo Serazzi nulla è per caso. C’è anche una storia dietro il personaggio di Silverio. Stesso nome di un gentile libraio conosciuto a Cosenza.

Sei calabrese o napoletano? E come mai ti sei ritrovato a vivere in Calabria?

«Sono di razza mista, perché mia madre era sarda, mio ​​padre è metà napoletano e metà calabrese. Mia nonna era di San Vito allo Jonio, quindi siamo tornati in un posto che ci apparteneva”.

Perugia è stata la città dei tuoi studi universitari di filosofia.

«Sì e considera che non avevo alcun legame con Perugia, l’avevo visitata in terza media e l’ho amata subito e l’amo ancora moltissimo».

Come va la tua vita?

«È molto semplice, molto raccolto, con poche ma autentiche amicizie, dedito allo studio perché la tranquillità del luogo dove vivo me lo permette; Faccio lunghe passeggiate nei campi. A me piace molto vivere così e andrei volentieri a vivere in Umbria perché lì potrei fare le stesse cose. Il luogo che ho scelto per fiorire è San Vito sullo Ionio, ma quando devo pensare ad un posto in cui vorrei fuggire, penso all’Umbria.

Niente social?

«Non sono capace, purtroppo per me, di come si dice piccolo discorso, Tendo alla profondità e trovo molto faticoso gestire molteplici relazioni. Sono grato ai miei lettori, a chi viene alle presentazioni dei miei libri, quando se ne vanno ricordo i loro volti, come erano vestiti, ogni dettaglio. Mi piace guardare le persone che ho davanti, quindi non ho i social anche perché voglio prestare attenzione a tutti quelli che incontro realmente”

Una “terra capace di grande durezza e di grande misericordia”. E’ questa la tua Calabria?

«Il protagonista di “Il cielo comincia dal basso” dice: «Mi piace questo sud perché ti lascia vivere, come una melanzana viola nei campi rossi del tramonto». Ciò che amo della Calabria e che si ritrova anche in “Una luce abbondante” è la capacità di lasciar esistere, nel senso di lasciare essere. In questa terra, spesso indietro negli indicatori produttivi, anche chi può sembrare inutile è protetto da una rete di relazioni e di affetti. E questo accade soprattutto nei piccoli centri. Mi piace molto questa cosa, cioè che la persona fragile in un piccolo paese non viene emarginata, ma è integrata e mescolata alla vita”

Il tuo libro è dedicato ad Antonietta Casula, tua madre

«Quando è morta ho pensato “ora le favole sono finite”, perché parlavamo tanto, anche quando litigavamo. La mia, come tante mamme, ha rinunciato molto per la sua famiglia, per i suoi figli. Nella dedica non ho scritto il cognome di sua moglie, perché volevo onorare la ragazza che era e che ha smesso di essere per mettere al mondo me e i miei due fratelli.

In un incontro con il pubblico hai detto che segui il precetto di Hemingway: scrivi di cose che sai. Hai sempre praticato il volontariato. È dalla tua esperienza che nasce questo libro sui bambini feriti?

«Sì, spesso mi imbatto in vite ai margini, anche se la storia di Francabbù nasce da un articolo di giornale in cui si parlava di un minore che viveva in una situazione simile a quella che descrivo nel libro.

Consegno questi bambini ai lettori perché voglio che acuiscano lo sguardo sul mare di orfani sconosciuti che ci circonda. Racconto ciò che incontro e cerco, però, di farlo con profondità, affinché possa diventare la storia di tutti. Nei miei libri cerco di raccontare la vita, la morte, l’amore, la genitorialità, la cura, la tenerezza, la passione. Sono cose che riguardano tutti, in un piccolo paese come in una grande città”.

Una creatura fragile è Marinzaina. Crede di dare alla luce angeli. Qual è il significato di questa dolce follia?

«In realtà questa cosa degli angeli è simbolo di tutte le solitudini che cercano di farsi compagnia. Ognuno ha qualcosa che lo fa sentire meno solo, può essere un amore, può essere un’amicizia, tu inventi gli angeli”.

I tuoi personaggi hanno nomi originali. Silverio’s è ispirato a una persona reale.

«Per me era già un nome familiare perché frequente in Sardegna. Poi un giorno alla Mondadori di Cosenza conobbi un libraio, dotato di una dolcezza immensa, che si chiamava così. Ho scritto il suo nome sulla sua mano per non dimenticarlo. Ha preso la penna e mi ha detto “scrivo anche la tua sulla mano”. Volevo dire “ognuno di noi è prezioso quindi meritiamo di ricordare il suo nome”, quando ha fatto il mio stesso gesto sono rimasto colpito e ho capito che poteva essere il mio Silverio, l’uomo disponibile e generoso”.

Dove potrebbe essere Sacravento? È ispirato a un luogo reale?

«È un Paese ai margini. Mi piaceva parlare di marginalità, di famiglia sbagliata che però insegna le cose giuste, di gente povera che però ha la ricchezza dentro di sé. Mi piaceva mostrare una società che non è fondata sui trionfi. Sai cosa penso del mio libro? Che va letto come un movimento ininterrotto di bene. In questa storia vince chi si dona e perde chi resta fermo, chiuso in se stesso. L’ho capito dopo averlo scritto”.
È l’onda di solidarietà e di poesia che si alza per le strade di Sacravento, dove i bambini “si asciugano le lacrime e prendono la pioggia” e nelle loro preghiere dicono cose da adulti. “Mostrami la forza delle mie idee, perché le idee degli altri sono belle, ma mi piacciono quelle che già ho.”
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