La Biennale di Venezia ha problemi di democrazia e di regole? – .

La Biennale di Venezia ha problemi di democrazia e di regole? – .
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Il 20 aprile ha aperto al pubblico la Biennale Arte 2024, la 60. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia: una Biennale, come ormai noto, tutta incentrata sull’inclusione e sugli esclusi, con artisti indigeni sudamericani, o appartenenti a minoranze discriminate, che regnano incontrastate nei padiglioni centrali curati da Adriano Pedrosa, mantenendo tutte le promesse del giorno prima. Non del tutto a caso, ma certamente inaspettatamente, uno dei padiglioni più grandi quest’anno è quello della Bolivia, capace di competere, per estensione, con quelli di Germania, Francia o Gran Bretagna. Fino a poche settimane fa la Bolivia non avrebbe dovuto nemmeno esserci, ma ha trovato uno spazio libero, ampio, al centro dei Giardini, cioè nel padiglione nazionale della Russia, chiuso e inutilizzato dal 2022. Anzi, doveva esserci, come Paese esordiente, e invece non ci sarà, il Marocco, che ha rinunciato a partecipare a fine febbraio: disaccordi tra la delegazione artistica e il governo del Paese. Gli stessi dissidi, in senso lato, che hanno spinto l’artista israeliana Ruth Patir, in mostra, a tenere chiuso il padiglione israeliano “fino al cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi” a Gaza: una critica, per nulla nascosta, alla politiche del governo locale a Gaza.

Tre eventi molto diversi, che però ci portano a chiederci: c’è qualche problema con le norme che regolano la mostra veneziana?

I padiglioni nazionali tra i Giardini e la città

Per la partecipazione nazionale le regole della Biennale sono semplici: qualsiasi Stato riconosciuto dall’Italia può partecipare, a titolo gratuito. Come sa chi frequenta la Biennale, le “stazioni” nazionali più prestigiose sono quelle degli storici padiglioni dei Giardini. Cresciute una dopo l’altra nella prima metà del XX secolo, con il stabilizzarsi di quella che inizialmente era una normale fiera d’arte internazionale, rappresentano gli Stati che, in un periodo che arriva fino ai primi anni ’60 e al periodo della decolonizzazione, ne avevano abbastanza peso per ottenere il rilascio di una concessione demaniale a lungo termine da parte dello stesso Comune di Venezia, talvolta anche proprietario del padiglione: le cifre sono molto basse, e nel 2023 il sindaco Luigi Brugnaro accennò alla necessità di rivedere le convenzioni. L’unico stato africano rappresentato ai Giardini è l’Egitto. Il comune di Venezia dispone di un proprio grande padiglione, dove possono esporre i giovani artisti dell’Accademia di Belle Arti. Chi non è ai Giardini può trovare spazio all’Arsenale, negli spazi più recentemente riconvertiti, per i quali è necessaria una convenzione con la Biennale, o in giro per la città, dove vuole: chiese sconsacrate, gallerie d’arte, palazzi, può richiedono rendite sbalorditive per gli stati nazionali ospitanti, motivo per cui molti di loro, a causa dei costi, scelgono di non partecipare o di ridurre le proprie ambizioni. La Biennale chiarisce che gli spazi dell’Arsenale vengono concessi «solo a seguito di specifiche richieste, definisce accordi di ospitalità per alcuni spazi dell’Arsenale, se disponibili. Tali accordi regolano le modalità di utilizzo, l’utilizzo ed i servizi generali forniti al Paese ospitato (pulizia, costi energetici, sicurezza, ecc.)”.

Per questo motivo, la scelta della Russia (che ha ereditato il padiglione dell’Unione Sovietica, così come la Serbia ha ereditato quello della Jugoslavia) di donare il proprio spazio, letteralmente a due passi dall’ingresso dei Giardini della Biennale, alla Bolivia, risulta alquanto sorprendente, per l’equilibrio della mostra. Lo sa bene la ministra boliviana Esperanza Guevara, sindacalista, che tra l’altro è diventata anche la curatrice del padiglione: «Per entrambe le nostre nazioni si tratta innanzitutto di un messaggio interessante, quasi utopico. Presente ai Giardini una nuova Nazione, lo Stato Plurinazionale della Bolivia, che è sempre stato un palcoscenico quasi immutabile, dove sempre le stesse Nazioni si rappresentano» ha detto ai Giornale d’arte, e poi, ironizzando sui tanti commentatori europei che hanno collegato l’ospitalità russa agli scambi commerciali tra i due Paesi: «Pensavo a tutti i Paesi europei che hanno scambi di materie prime con i Paesi africani… Avete mai visto una di queste Nazioni a i Giardini, condividendo il suo padiglione con uno di questi Stati africani?”. Il padiglione della Bolivia non è certo il più riuscito dei Giardini, senza entrare nei tecnicismi, ma c’è, e questo conta per il governo boliviano. Nigeria, Camerun, Etiopia, altri Stati africani, sudamericani o asiatici, che stanno sviluppando una scena artistica sempre più importante, devono invece affittare immobili tra Castello e Cannaregio. E c’è chi si arrende: l’India quest’anno non c’è. Dal canto suo, la Biennale chiarisce che non può in alcun modo sostenere la partecipazione dei singoli Paesi, ma che «per rendere trasparente e più semplice la ricerca degli spazi in città» è stata attivata una bacheca online che permette ai Paesi e agli organizzatori di eventi collaterali di orientarsi trovare spazi, attraverso dialoghi e valutazioni dirette e non intermediate dalla Biennale.

In tutti questi casi, chi ha la palla in gioco, cioè chi e cosa esporre, è il potere politico nazionale (salvo avere una dipendenza dai finanziamenti privati ​​che gli permettono di dettare le regole): se un artista non è benvenuto, difficilmente, per usare un eufemismo, sarà chiamato a rappresentare la sua nazione.

Gli eventi collaterali, ufficiali e non

Poi ci sono gli eventi collaterali, anch’essi sparsi per la città. Approvati dalla Biennale, in caso di selezione da parte del curatore e in caso di rispetto delle modalità stabilite (evento inedito che si terrà a Venezia, organizzatore pubblico o privato senza scopo di lucro, ecc.) richiedono il pagamento di 30mila euro per l’utilizzo del logo (e l’inserimento nella comunicazione ufficiale della Biennale). Anche qui c’è autonomia, ma più relativa: non ci sono regole sul biglietto (alcuni sono a pagamento, altri no), né sui criteri artistici da adottare, ma solo previa approvazione del curatore, a differenza dei padiglioni nazionali . Poi ci sono una miriade di eventi collaterali di fatto, senza logo e a pagamento alla Biennale, ma volutamente organizzata nei mesi della Biennale per sfruttare la confusione che la sovrapposizione di date può generare nel pubblico meno informato: al momento sono decine le mostre aperte (una anche all’interno di Piazza San Marco ), a fronte dei 30 eventi collaterali “ufficiali” della Biennale. Una pratica che si diffonde da tempo è quella, ad esempio, di proporre gigantesche installazioni “in occasione della Biennale”, affinché vengano fotografate e commentate, senza aver pagato un solo euro alla Biennale e senza il benestare della l’istituzione. Chi ha i mezzi finanziari può trovare il proprio palcoscenico, indipendentemente dalle approvazioni politiche o curatoriali.

Le altre regole

Come sa chi frequenta la manifestazione veneziana, sia nei padiglioni nazionali che negli eventi collaterali, l’autonomia riguarda non solo l’arte esposta, ma anche il rispetto delle regole: misure di sicurezza, materiali utilizzati, contratti di lavoro applicati. Ci sono padiglioni tenuti aperti da volontari, altri da personale altamente formato e ben retribuito, altri ancora da personale di sicurezza comune.

A una domanda specifica, la Biennale spiega che, nonostante l’autonomia prevista, «per quanto riguarda l’organizzazione, le norme vigenti in Italia in materia di lavoro e sicurezza sui luoghi di lavoro devono essere sempre applicate da tutti, indipendentemente dal fatto che riguardino i Paesi partecipanti o eventi collaterali. Il richiamo al rispetto delle norme vigenti è presente nelle procedure per le partecipazioni nazionali e per gli eventi collaterali”. D’altra parte la piattaforma Biennalelocenecreata lo scorso anno da un gruppo di attivisti proprio per chiedere un maggiore impegno alle istituzioni artistiche veneziane nella tutela dell’occupazione, segnala ancora il diffondersi di contratti inadeguati o parziali, o addirittura contratti non corrispondenti alla legge delle agenzie italiane e internazionali per il reclutamento di personale per l’evento non registrato in Italia.

La libertà di azione è molto ampia, mentre non ci sono fondi che aiutino i Paesi più poveri a esporre a Venezia seguendo i contratti richiesti (il personale della Biennale è coperto dal contratto di Commercio). Questa è una situazione simile a quella di altre fiere internazionali, non solo artistiche, con la differenza che la Biennale c’è sempre, ogni anno, da cento anni: che queste regole sono le più adeguate per portare il meglio dell’arte internazionale a Venezia sembra essere motivo di riflessione più di quanto lo sia stato finora.

 
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