Un peccato per “la rossa” indagata a Firenze. “Informazioni false” – .

Un peccato per “la rossa” indagata a Firenze. “Informazioni false” – .
Un peccato per “la rossa” indagata a Firenze. “Informazioni false” – .

Dall’Antimafia in cortocircuito arriva lo choc per Ilda Boccassini, indagata a Firenze per “false informazioni alla Procura”. Un’aggravante prevista dall’articolo 348 comma ter che per l’ex magistrato antimafia milanese suona come il peggiore degli epitaffi. Sarebbe arrivato anche a lei l’avviso di conclusione delle indagini su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri come presunti mandanti esterni delle stragi del 1993 che insanguinarono l’Italia. La notizia circolava già da un paio di giorni.

La “colpa” del magistrato è quella di aver taciuto davanti ai magistrati fiorentini Luca Turco e Luca Tescaroli e alla Procura nazionale antimafia (che indaga sulle stragi e sui troppi depistaggi) autore della fonte che nel marzo 1994 diede in pasto ai giornalisti di Repubblica Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo (morto nel 2011), rivelando il contenuto di una denuncia su Dell’Utri “emissario dei clan”, teoricamente chiusa nella cassaforte Boccassini, firmata dal pentito Salvatore Cancemi, allora reggente della Rione Porta Nuova, le cui deposizioni non hanno mai convinto né gli inquirenti né i cronisti che scrivono di mafia, così come la pista di Berlusconi come mandante delle stragi volute da Totò Riina e compiute tramite il boss Giuseppe Graviano, annegato nell’archiviazione e rivelazioni intermittenti come quelle di Salvatore Baiardo.

Nel suo libro La stanza numero 30 pubblicato nel 2021, la Boccassini aveva ammesso di conoscere l’identità della manina che aveva aiutato i due reporter, perché D’Avanzo gliel’avrebbe rivelata prima di morire, invitando (invano) la fonte a rivelarsi. Tra dicembre 2021 e giugno 2022, come aveva ricostruito all’epoca Nello Trocchia a Domani, poi ripreso dal Fatto, Bolzoni e Boccassini erano stati ascoltati dalla procura toscana e da quella di Caltanissetta. Bolzoni si oppose al “segreto professionale”, dalle testimonianze giornalistiche dell’epoca era emersa la mancata collaborazione di Ilda, confermata dalla decisione di iscriverla nel registro degli indagati. La protegge, evidentemente, perché possa chiarire meglio le ragioni del silenzio.

Ma perché proteggere chi aveva distrutto un’indagine? Il Giornale ha chiesto riscontri a Tescaroli, che ci ha indirizzato al procuratore capo Filippo Spiezia, che non ha risposto. Idem ha fatto la Boccassini, che – secondo una fonte a lei vicina – tace da giorni.

Inoltre, guardando le ricostruzioni dell’epoca, è chiaro che le lancette erano più di una. Repubblica, sicuramente sulla strada giusta, da giorni sbagliava sulla Procura che stava indagando. Fu proprio l’ex direttore del Giornale Augusto Minzolini, corrispondente della Stampa, a “costrigere” l’allora presidente della commissione Antimafia Luciano Violante (poi dimessosi) a confermare l’esistenza di un’indagine. Chissà se la Procura di Firenze non senta il bisogno di sentire anche lui, che sapeva del dirigente di Publitalia ’80 «iscritto nel registro degli indagati della Procura di Catania, non in quello di Caltanissetta» e che ha detto a Minzolini che dietro l’inchiesta “non ci sono rivelazioni di un pentito” ma presunte “intercettazioni ambientali”, sottolineando come il caso sarebbe dovuto uscire “pochi giorni prima del voto, anche se la Procura avrebbe preferito rinviarlo a dopo le urne ”. Si è scoperto così – per la prima volta – il filo conduttore tra i pm e la sinistra, convinti che con l’assalto giudiziario avrebbero sconfitto il Cavaliere. Mai rischio fu più fatale.

Quel fango gli è valso almeno due milioni di voti in più.

 
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