Italia, i salari “veri” sono stagnanti da decenni. Tutto considerato, dove si può vivere meglio? – .

MILANO – In gioco gli stipendi italiani, ma considerando il costo della vita, chi sta meglio di noi? Dopo mesi di inflazione a livelli che diverse generazioni non avevano mai conosciuto, il potere d’acquisto delle famiglie è emerso con le ossa rotte. Il rallentamento dei prezzi previsto per questo 2024 offre una speranza di sollievo, ma intanto è arrivato un colpo su un quadro già fragile, segnato da una dinamica salariale asfittica da tempo.

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Se lo prendi l’ultimo Salary Outlook dell’Osservatorio JobPricing, basato sui dati OCSEvediamo che (anno 2022) la retribuzione media annua in Italia resta una delle più basse dell’area e d’Europa. Ragionando in termini di parità di potere d’acquisto, con 44.893 dollari siamo al 21° posto tra i 34 Paesi osservati dall’Organizzazione. La media è di 53.416 dollari e siamo più vicini al Messico (ultimo) che all’Islanda primo.

“Dei 17 paesi dell’Eurozona inclusi nel grafico – si legge nel Salary Outlook – l’Italia si colloca al 10° posto, dietro a paesi come Lussemburgo, Germania e Francia, mentre la Grecia è ultima in classifica (25.979)”.

Le conclusioni della Commissione Europea

Che l’Italia abbia un problema salariale è ormai un ritornello che si ripete da anni. Tra le varie fonti ufficiali che lo hanno certificato, potete prenderlo il rapporto della Commissione europea sulla convergenza sociale appena pubblicato. Il documento su cui puntare il dito l’effetto boomerang dell’indennità di inclusione (quella che ha mandato in soffitta il reddito di cittadinanza) nella lotta contro la povertà. Questa attenzione all’Italia mette a nudo le fragilità strutturali del mercato del lavoro, che vanno oltre i recenti guadagni occupazionali. Lì leggiamo, ad esempio, che “La crescita dei salari nominali non è stata sufficiente a compensare la perdita di potere d’acquisto causato dalla recente impennata dell’inflazione legata alla crisi energetica generata dall’invasione russa dell’Ucraina”.

E poco dopo”I salari italiani sono strutturalmente bassi: tra il 2013 e il 2022 la crescita dei salari nominali per addetto è stata del 12%, la metà della crescita europea (23%). E se pensiamo in termini di potere d’acquisto, ecco il colpo di scena con l’Italia che va in rosso del 2% mentre l’Ue cresce del 2,5%.

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Lo stesso Salary Outlook, tornando ai dati Ocse, estende l’analisi al medio-lungo termine, evidenziando “una situazione salariale italiana che non ha brillato”. I salari reali dal 2000 per l’Italia, così come per la Spagna, “sono rimasti allo stesso livello degli ultimi 23 anni (-0,9% e -0,3% rispettivamente).Lituania hanno registrato la crescita più elevata, pari al 156% (praticamente il triplo dello stipendio medio), mentre alcuni Paesi presi a riferimento e spesso paragonati all’Italia, vale a dire Francia e Germania, mostrano tassi di crescita rispettivamente del 21% e del 14,8%”.


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La speranza di una ripresa nel 2024

Se consideriamo solo gli anni più recenti, il reddito nominale da lavoro dipendente è aumentato del 4,7% nel 2022 e del 3,8% nel 2023, principalmente per effetto della crescita delle retribuzioni contrattuali. Ma quelli reali sono diminuiti di circa il 2,3% nel 2023, dopo essere scesi addirittura del 4% nel 2022, proprio a causa dell’elevata inflazione. È vero che solo pochissimi paesi come Islanda, Svizzera o Francia sono riusciti a tenere a bada i prezzi, ma ora contiamo sulla speranza di ripresa individuata per quest’anno, con la proiezione di un aumento dell’1,6% in termini reali grazie al rallentamento dell’inflazione.

Lo mette vicino lo stesso rapporto della Commissione Europea la dinamica negativa dei salari a quella della produttività. Tra il 1995 e il 2022 la nostra è stata stagnante (+0,4%) a fronte di una seppur minima spinta europea (+1,6%).

Confronto con il costo della vita

Questi problemi strutturali poi ricadono nella vita reale delle persone. E poi dobbiamo “pesare” i salari rispetto al costo della vita. Salary Outlook torna utile di nuovo, che offre un confronto tra gli indici delle retribuzioni nette – considerando quindi i diversi cunei fiscali – e del costo della vita. “Con pochissime eccezioni, si può affermare che, sebbene appaia evidente una relazione tra i due indicatori, ogni Paese ha una sua dinamica particolare, diversa da quella del nostro Paese”, si legge nel documento.

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Il grafico ne dà una chiara dimostrazione. Se prendiamo la Svizzera, ad esempio, è vero che è un Paese con salari molto alti rispetto all’Italia (indice 162,6), «ma se confrontiamo l’indice del costo della vita scopriamo che è quasi il doppio di quello italiano (191,8 )”. E quindi, tutto sommato, è ormai alle nostre spalle. Il peggior equilibrio – tra salari e costi – è quello del Grecia.

Francia, Spagna, Regno Unito e Germania, invece, offrono tre diverse dinamiche. Tutti, però, sono posizionati alla nostra destra, cioè con un bilancio vantaggioso. “In Francia i due indici sono abbastanza allineati, quindi se i salari netti sono proporzionalmente più alti che in Italia, il costo della vita è altrettanto più alto; in Spagna gli stipendi netti leggermente inferiori ai nostri sono più che compensati da un costo della vita nettamente inferiore che da noi; in Germania e nel Regno Unito, infine, i salari sono più alti di quelli dei lavoratori italiani, ma il costo della vita è solo poco più alto del nostro”.

 
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