Ancelotti, il re della Champions incompreso solo al Napoli – .

Ancelotti, il re della Champions incompreso solo al Napoli – .
Ancelotti, il re della Champions incompreso solo al Napoli – .

Il signore tentò di resistere fino all’ultimo secondo: «Sei sicuro Aurelio che non posso fare nulla per farti cambiare idea?». No, non c’era più niente da fare. L’espulsione è stata notificata subito dopo la qualificazione agli ottavi di finale di Champions League Giardino pensile Caruso dell’Hotel Vesuvio. “Ma andarsene era la cosa giusta da fare”, ha ammesso anni dopo, alla vigilia del suo ritorno a Maradona nel novembre dello scorso anno. Carlo Erminio (nome completo, come quello del nonno) Ancelotti sabato scorso ha vinto il 28esimo scudetto della sua storia e l’altra sera la sesta finale di Champions League della sua carriera, inventando la sostituzione di Joselu al posto di Valverde. Nessuno come lui, con il suo coraggio, la sua conoscenza degli uomini e della vita. Unico. Irraggiungibile. Messi insieme, tutti gli allenatori dell’attuale Serie A non hanno giocato una finale. Tranne Thiago Motta, ma da calciatore. «Ho bollito? Sì, dopo Napoli hanno detto così di me. Ma devo dire che mi piace molto il bollito”. Non c’è nessuno come lui. E non c’è nessuno che non faccia venire i brividi a De Laurentiis con il suo ricordo, visto come è finita. Incredibilmente, l’uomo più vincente del nostro calcio, capace di schierare il Bellingham da terzino, non è mai riuscito a convincere Insigne a spostarsi di dieci metri verso il centro dell’attacco.

L’avventura

Un anno fa rischiò di andare via, dopo la sconfitta per 4-0 contro il Manchester City. Ma Florentino ha una visione lunga e lo ha confermato. C’è poco da fare: è l’uomo della rivoluzione fallita del Napoli, De Laurentiis lo ha liquidato come se avesse messo fine a un malinteso, dopo aver capito di aver ingaggiato Ibrahimovic da solo per sei mesi. (e sette milioni all’anno). Ancelotti è unico nel suo genere, supera le barriere tra gioco all’uomo, a zone, tradizionale, innovativo, all’italiana, alla castigliana, alla griglia e a legna. Perché il gioco possibile è uno solo: quello in cui vince chi segna un gol in più. Senza estremismi, senza schemi, senza etichette, tik tok, proprietà all’80 per cento. Per segnare, dice, bastano 4 passaggi e 10 secondi. Giochi in base ai giocatori che hai, lo gestisci senza ansia ma con fermezza. A Napoli tutto questo non è riuscito: tutto è andato storto. Anche Davide, il figlio erede al trono, è stato bocciato dal gruppo azzurro che voleva il padre in campo a gestire la formazione e non il bambino prodigio che tutti al Real Madrid portano alle stelle. Espulso dal Napoli, è rimasto senza panchina per meno di dieci giorni: perché non è Conte né Spalletti e nemmeno per una frazione di secondo è caduto nella sontuosa trappola dell’anno sabbatico. Lui sa come funziona, da furbo qual è: qualcuno si prende una sontuosa pausa a spese di chi ti ha rinnegato, annuncia di volersi dedicare ai viaggi in Estremo Oriente, alla meditazione e poi al ritorno non trova nessuno che lo voglia. No, la chiamata è arrivata dall’Everton e lui è ripartito al club con Klopp sull’altra sponda. Senza esitazione. Dimenticare. La parabola di re Carlo sembrava andare in discesa, ma un uomo di campagna non si arrende mai. Si è preso due piccole vendette: prendersi Allan, uno dei ribelli dalla notte dell’ammutinamento con il Salisburgo e, soprattutto, James Rodriguez, che De Laurentiis aveva finto di inseguire senza avere alcuna intenzione di ingaggiare un campione da 10 milioni. Ancelotti vola verso la sua sesta finale di Champions League, dopo aver trionfato nella Liga, dopo aver guidato con convinzione e determinazione l’Armata Bianca contro il Bayern Monaco. È il migliore di tutti i tempi. Tranne qualche mese. A Napoli.

 
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