Cremona Art Week, come una piccola città si apre all’arte pubblica – .

L’anno scorso il coccodrillo tassidermizzato di Maurizio Cattelan era appeso all’interno del battistero in un dialogo sorprendente ed esteticamente irresistibile tra profano e sacro. Quest’anno un’esposizione orizzontale, senza grandi nomi ma con tanti artisti internazionali che hanno portato le loro creazioni nella piccola città cremonese per la seconda edizione della Settimana dell’Arte Contemporanea, in programma fino a domenica 26 maggio.

Non si tratta di una diminutio, ma della realizzazione più matura di un’iniziativa culturale che dimostra la nuova vitalità di un territorio che storicamente è stato cauto nell’aprire le porte delle sue bellezze, al di là di eventi generalisti e sporadici, per quanto meritori, come quello della Fai. Non è infatti una mera attrazione turistica, o l’occasione per una classica passeggiata, lo spirito della settimana dell’arte contemporanea curata e organizzata da Rossella Farinotti con la sinergia (anzi la vera complicità) delle diverse realtà cittadine, delle realtà locali istituzioni, alla diocesi, ad associazioni e aziende. Si trattava invece di saggiare la reattività della provincia profonda alle riflessioni e alle sperimentazioni artistiche che si sviluppano quotidianamente non lontano, da Milano a Venezia.

La lezione di questa iniziativa è che non occorre essere una metropoli europea, né la sede della più importante istituzione culturale del mondo, per diventare un centro diffuso e riconosciuto dell’arte contemporanea, anzi: potrebbe essere proprio il dimensione più locale e apparentemente chiusa di una “piccola città”, come tende ad essere Cremona nel resto dell’anno, terreno fertile per un dinamismo all’insegna dell’arte pubblica e della contaminazione tra antico e moderno, patrimonio storico e meno o meno forme affatto canoniche di bellezza. A patto, però, che ci siano le condizioni circostanti, senza le quali banali velleità o sensazionalismi fini a se stessi finiscono per prevalere.

In questo caso si sono verificate le condizioni al contorno. C’è certamente un’importante componente di disvelamento, di tesori nascosti e normalmente inaccessibili, o comunque sconosciuti anche alla maggioranza dei cremonesi: il tempietto di San Luca con l’annesso teatro-cinema mai più riaperto dopo l’incendio di quasi quarant’anni fa. , lo splendido cinquecentesco palazzo Stanga Trecco, l’eclettico e un po’ misterioso palazzo Guazzoni Zaccaria, o l’ex chiesa di San Carlo, oggi pinacoteca. Queste sono solo alcune delle location più intriganti dell’evento – non che le altre non valgano la pena di essere visitate (sono ventisette in totale).

Ma ciò che rende questa settimana un evento di vero interesse è l’interpretazione dei luoghi, la loro rilettura in chiave rispettosa e divertita, con l’aggiunta di eventi collaterali come talk, proiezioni, performance. Cioè il progetto, il coraggio di una direzione artistica ironica, che ha osato sorridere e far sorridere in luoghi a volte austeri, con inserti minimalisti e irriverenti. Ma anche riflessioni molto serie come quelle sul nostro rapporto con la natura, sulla guerra e la pace, sul femminile e sul potere. Creazioni da scoprire, con l’indispensabile libertà di non comprenderle né apprezzarle, forse il vero fondamento dell’arte contemporanea. Poi sì, anche quest’anno c’è un’opera più iconica delle altre, almeno per dimensioni e posizione: l’Ercole di Patrick Tuttofuoco alla Loggia dei Militi, proprio di fronte alla cattedrale (due occhi e un’orchidea che di notte inizio).

Cremona, detto con orgoglio da un cremonese come me, finalmente non è solo violini e Torrazzo, anch’essi eccellenze e capolavori di livello mondiale. Vale la pena visitarli tutti contemporaneamente.

 
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