“Non è un’emergenza in Puglia” – .

Non una vera e propria ’emergenza’ in Puglia (o almeno, non ancora), ma il segno che i cambiamenti climatici stanno modificando l’ecosistema marino anche alle nostre latitudini. IL ‘cane verme’ – di cui tanto si parla nelle ultime ore in Italia – è concentrato soprattutto sulla costa ionica della nostra regione, ma in realtà nel Mediterraneo esiste da sempre. «Il monitoraggio sta semplicemente rivelando una crescita esponenziale della capacità riproduttiva di questi vermi marini», spiega l’Università di Bari, che già qualche anno fa aveva condotto uno studio in collaborazione con l’Università del Salento sulle curiose specie. Di pochi giorni fa la notizia dell’incredibile diffusione di esemplari di Hermodice carunculata nei mari di Sicilia, Calabria e Puglia. Vmolto attuale E carnivoricapace di rigenerare quando sono spezzati in due, i “cani verme” hanno spine con tossine urticanti e io sono predatori insaziabili: è la descrizione rimbalzata ovunque, seguita dall’allarme dei biologi del laboratorio che l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste ha aperto a Panarea e Milazzo.

Ma il vermocane è presente anche in Puglia? E in quale entità? Lo abbiamo chiesto ai professori dell’Università di Bari, che qualche anno fa hanno dedicato uno studio al tanto chiacchierato verme marino. “La presenza di questo animale nelle acque italiane è, dal punto di vista della tradizione orale dei biologi marini, segnalata alla fine del anni Cinquanta del secolo scorso, quando lo scienziato francese Jacques Picard, che stava studiando la Posidonia in acque poco profonde a Catania, ne vide uno”. Si riporta l’aneddoto Giuseppe Corriero, professore ordinario di Zoologia con specializzazione marina, nato in Sicilia e cresciuto professionalmente a Palermo, prima di approdare all’Università di Bari. “Il cane verme è una specie termofilo, ama le acque calde – spiega – e per questo si trova nella parte più meridionale del Mediterraneo. Si tratta di una sorta di lombrico molto colorato, con setole spinose collegate a piccole cellule velenifere che iniettano tossine nella malcapitata vittima. Picard, non avendo una rete con sé in quel momento, indossò il verme colorato sconosciuto nel suo costume e, come si suol dire, si mise nei guai.

Il Corriero usa il divertente aneddoto per riflettere su un fatto molto grave: solo settant’anni fa il cane verme era semisconosciuto anche agli specialisti, nonostante fosse una specie autoctona del Mediterraneo. “Ora però la Calabria, la Sicilia e lo Ionio pugliese hanno avuto un’invasione biologica – ricostruisce il professor Corriero – e l’animale si sta spostando sempre più a nord alla ricerca di zone calde. Personalmente mi è capitato di misurarne quantità impressionanti nella riserva naturale di Ustica, con esemplari lunghi oltre mezzo metro, che diventano predatori di piccoli pesci e rischiano così di avere un forte impatto sulla biodiversità costiera”.

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Non di un’emergenza, ma di segnali importanti da cogliere il professor Cataldo Pierri, docente di Zoologia applicata dell’Università degli Studi di Bari. “I vermi sono sempre presenti nel Mediterraneo, fanno parte del patrimonio di biodiversità del nostro mare, quindi cominciamo col chiarire che non si tratta di una novità ma di un specie autoctone, originarie delle nostre zone“. Cosa è successo, dunque, negli ultimi anni? “Probabilmente a causa dei cambiamenti climatici sta diventando invasivo – racconta a Telebari il professor Pierri – La costa ionica è la più colpita, come tutta la parte centrale del Mediterraneo. Esistono studi che analizzano la correlazione tra l’aumento della temperatura e l’efficienza riproduttiva del cane verme”. Se il mare è più caldo di uno o due gradi, quindi, la cannaiola sembra registrare un notevole incremento del “successo riproduttivo”. Alcune fasce costiere, quelle profonde tra 1 e 10 metri, registrano poi un’esplosione demografica nel Polichete, che ha pochissimi predatori. “Il contatto con il cane verme provoca sensazioni simili a scottature solari, l’animale dispone quindi di strumenti di difesa che allontanano i predatori naturali – riflette Pierri – La moltiplicazione dei vermi sembra portare a un cambiamento nelle sue abitudini alimentari, visto che prima si nutriva solo di carogne o di resti di animali morti, ora sembra hanno sviluppato atteggiamenti predatori che, tuttavia, gli studi devono ancora certificare”. A farne le spese sono ricci, stelle marine e molluschi: animali lenti presenti sul fondo che faticano a sfuggire all’assalto. “Il cane verme in effetti ne ha alcuni chete, aghi piccoli e sottilissimi che rilasciano tossine – è il consiglio di Pierri – quindi è meglio starne alla larga, anche perché se viene disturbato, i cheta assumono colorazioni più aggressive e una puntura provoca disagio per un giorno o due”. È necessario pulire l’area di contatto il più rapidamente possibile, prima che gli artigli penetrino nella pelle, diventando quasi invisibili. Secondo Pierri l’aumento degli esemplari di vermocane è solo “una delle preoccupazioni legate al cambiamento climatico”. “Non la definirei un’emergenza in sé – tiene a sottolineare – ma un segnale da cogliere perché ognuno di noi, anche nel suo piccolo, può fare qualcosa”.

 
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