Nonna Mai, la donna dal cuore “cucito” sulle spiagge di Nah Trang – .

Di Letizia Gaeta

NAH TRANG (VIETNAM) – Nonna Mai è una signora di 70 anni che ha trascorso più della metà dei suoi anni sulle spiagge di No Trang. Nel 1984 dovette trasferirsi da Hanoi, sperando di trovare un po’ di fortuna sulla costa.

Nonna Mai

Ma anche se continua a sorridere alla vita, la vita è stata tutt’altro che gentile con lei.

La incontro durante un rarissimo momento di relax. Mi viene incontro a passo svelto sulla sabbia chiara e a grana grossa tipica della zona. Porta con sé, appoggiato sulle spalle, un palo di bambù più lungo di lei, da cui pende un barbecue portatile e piuttosto rozzo e una scatola refrigerata di polistirolo di cui non conosco il contenuto.

Guardandola negli occhi, mi accorgo che ha sul viso i segni della sofferenza, le rughe di chi ha dovuto affrontare innumerevoli sfide, incorniciate da un sorriso disarmante nella sua potenza e dolcezza.

“Vuoi qualcosa?”, chiede nel suo inglese un po’ stentato ma comprensibile, perché l’accento vietnamita quando parlano in inglese è assolutamente indecifrabile, a parte “devi solo ascoltare un po’”.

Due aragoste stanno cuocendo sulla griglia, l’unico problema è che alle due di notte nessuno di noi ha fame, ma tutti vorremmo una bibita fresca per dissetarci, con la speranza che Mai possa sedersi con noi e dirci qualcosa sulla sua vita.

“Cocco fresco per tutti – propongo – Sì, ci sta”, rispondono gli altri. Anche perché ormai ne siamo tutti innamorati.

A quel punto Mai apre la sua scatola e tira fuori un paio di ciabatte con le quali, dopo aver ritirato i soldi, si allontana. Rimaniamo stupiti senza capire cosa sta succedendo. Dopo qualche minuto di attesa, torna da noi con sette noci di cocco, inizia a distribuirle e decide di sedersi con noi. Allarghiamo la sua cerchia e la diamo il benvenuto nel nostro gruppo. Osservo il suo sguardo al confine tra la felicità e un senso di sfiducia che sembra non appartenerle.

“Vivo su questa spiaggia da quarant’anni, mi muovo per chilometri e chilometri ogni giorno, ma qui posso incontrare nuove persone, parlare e vivere le loro storie”.

Ogni sua parola mi sorprende per la sua potenza ed energia, come quando all’improvviso, guardandoci uno per uno, ci consiglia di prestare estrema attenzione ai nostri portafogli perché potrebbero portarceli via in un batter d’occhio. E così facendo mima con le mani il gesto che fa scoppiare tutti in una risata spontanea. Sappiamo che dobbiamo stare attenti, ma il suo ammonimento come se fosse nostra nonna mi riempie il cuore di speranza. Non importa quanta sofferenza una persona abbia sopportato, c’è sempre tempo e spazio per un atto di gentilezza.

Ci racconta di aver vissuto la guerra, prendendo parte alle fila dei Viet Com, le comunità sostenitrici dei Viet Cong che popolavano gran parte del Vietnam sia al nord che al sud; delle difficoltà nel reperire il cibo e della paura che era costretta a leggere negli occhi dei suoi fratelli più piccoli.

“Il più giovane dei miei fratelli, Phuc, aveva solo 7 anni quando gli americani iniziarono a bombardare Hanoi. Ricordo che urlava e piangeva spesso. Ma soprattutto ricordo i pianti disperati di mia sorella Linh in una piovosa notte di dicembre del 1972. Era il 22 dicembre e non dimenticherò mai quella data. Corsi fuori a vedere cosa fosse successo e in quel momento, per la prima volta dall’inizio della guerra, dovetti fare i conti con il dolore di perdere una persona importante. Linh teneva tra le braccia il corpo insanguinato e senza vita di nostra madre.

Noto che gli occhi di Mai sono pieni di lacrime; cerca di non piangere, anche se la disperazione accompagna il suo racconto, rigandole il volto. La morte della madre è la morte di una donna spezzata dalla banalità del male. Da una guerra infinita e insensata nella quale furono uccisi 4 milioni di civili.

L’operazione Linebacker II, soprannominata Bombardamento di Natale, durò dal 18 al 29 dicembre 1972 ed è considerata il bombardamento più massiccio condotto dall’esercito americano dalla Seconda Guerra Mondiale.

“La guerra aveva già distrutto gran parte dei miei sogni – continua a raccontare – Quella notte, però, mi cambiò completamente la vita. Ho dovuto rinunciare alla possibilità di andare all’università, ho iniziato a lavorare per portare soldi a casa, cercando di aiutare dove potevo l’Esercito popolare vietnamita”.

Seduto accanto a lei, chiudo gli occhi, la sabbia sotto di me brucia ancora di rabbia mista a tristezza, mi si stringe il cuore pensando a chi sta vivendo la guerra anche adesso, ogni giorno. Mai mi prende per mano, mi capisce e nella sua presa percepisco la sua voglia di continuare a vivere, a sorridere e ad amare.

“Alla fine della guerra, nel 1975 – prosegue Mai -, le difficoltà non finirono, il Vietnam fu riunificato ma restava un velo di mistero su ciò che avrebbe macchiato il nostro futuro. Rimasi ad Hanoi per qualche anno, facendo lavori di ogni genere, ma la vita era sempre più difficile e la capitale era diventata invivibile per chi, come me, aveva sempre sognato la tranquillità. Ho preso le poche cose che avevo a disposizione e mi sono diretto a sud, verso il mare”.

Da allora vive su questa e quella spiaggia, sorridendo a chi la incontra, raccontando la sua storia, gli orrori della guerra e le atrocità che ha dovuto affrontare fin da giovanissima.

Mi ritengo fortunato perché anch’io sono tra quelle persone che hanno avuto l’onore di ascoltarla. La luna riflette la sua luce sull’acqua verdastra del mare quando mi alzo per salutarla. Mai nella sua eleganza si inchina per ringraziarci e noi, per sdebitarci, la stringiamo in un abbraccio che ci dice “tôi sẽ mang trong mình mãi mãi” (la porterò sempre con me).

Ho sempre creduto che nell’essenza più profonda delle persone ci sia anche l’essenza più profonda del viaggio e Mai ne è la conferma. Mai è la donna dal cuore cucito e ricucito che ha tratto energia per continuare a guardare la vita con un sorriso. E allora Mai, buona vita. Possa tu continuare a vivere nelle tue storie.

 
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