“Paesaggi Americani” con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da David Greilsammer – GBOPERA – .

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”
“PAESAGGI AMERICANI”
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore
David Greilsammer
Charles Ives:Tre posti nel New England; Ferde Grofè: “Suite Mississippi”; Aaron Copland: “Primavera degli Appalachi”. Suite, versione per orchestra sinfonica, dal balletto in un atto; Michael Daugherty: (1954) Itinerario 66 (1998)
Torino, 7 giugno 2024
È consuetudine perOrchestra Sinfonica Nazionale della RAI, una volta terminato il cartellone concertistico stagionale, proseguite con alcune serate “più leggere” che, in questo mese di giugno, vengono etichettate come “pop”. L’Orchestra al completo, prima della trasferta a Pesaro per il Rossini Festival, si cimenta in: Paesaggi americanie poi fare una crociera da Napoli a Buenos Aires con successivo ritorno europeo diviso tra operette Viennese e il zarzuelas Madrid. La tappa americana doveva essere diretta dallo stimatissimo, almeno nei programmi a Stelle e Strisce, John Axelrod che purtroppo è stato tenuto lontano da Torino per qualche disguido. Il giovane gli è subentrato, apparentemente su sua raccomandazione David Greilsammer che le room notes garantiscono ha un curriculum prestigioso, sia in direzione d’orchestra che in pianoforte. Tutti i brani in programma richiedono forti doti virtuosistiche sia da parte dell’orchestra che del direttore. I ritmi e i tempi sono molto mobili, si intrecciano, si sovrappongono e contrastano. Ives, dentro Tre posti nel New England, ci immerge nei riti autocelebrativi dell’epica nordamericana. Ricordiamo generali e battaglioni che tennero unita una nazione che, a causa della guerra civile, avrebbe potuto disfarsi a pochi anni dalla sua nascita. Boston e il vicino Connecticut sono i luoghi in cui Ives ha vissuto e ha esercitato con successo la sua vera professione di assicuratore. Giocava con la musica dopo il lavoro e si concedeva quelle libertà grammaticali e sintattiche che i musicisti, accademici di professione, non osavano. Un “dilettante” potrà divertirsi con le marce e le trombe che arricchiscono le sfilate patriottiche, esplosioni festose inserite lungo tutta la partitura. Il direttore forse avrebbe potuto sostenere al settimo cielo la sensazionale orchestra, i legni, gli ottoni e le percussioni, con maggiore leggerezza e scioltezza. Vorremmo però maggiore visibilità nei programmi concertistici per Ives, è il 150esimo anno dalla sua nascita e sembra che nessuno se ne sia accorto. La suite del Mississippi di Grofé, come tale Moldava Americano, si abbandona su un fiume che scorre e parla di sé e della vita che si svolge intorno a lui. Si passa, con un iniziale mormorio di acque correnti, dal territorio ghiacciato degli indiani nativi, immerso nel freddo nord dei laghi, ai racconti delle imprese dello spericolato Huckleberry Finn, eroe di Mark Twain e nuovo Fino a Eulenspiegel, per arrivare ai gospel afroamericani dei raccoglitori di cotone della Louisiana. Durante tutto il percorso prevalgono, con grande efficacia, il folklore e il colore locale. Una tavolozza colorata di pigmenti primari, di grande piacevolezza luminosa, che sia l’orchestra che il direttore riescono a proporre al meglio. Questo non è descrittivismo del paesaggio Copland propone di entrare Primavera degli Appalachi, non è né primavera né montagna, ma una cerimonia di matrimonio in una comunità Shaker, Setta cristiana si stabilì nel New England. La grande ballerina Martha Graham richiese l’opera del compositore e ne fu quindi dedicataria e prima interprete. Se il pezzo, per l’argomento, potrebbe riguardare Le noci di Stravinskij, in realtà resta molto lontano dalla carica inventiva e rivoluzionaria che il russo diede alla sua opera. In Copland emerge sempre l’impronta francese, appresa dagli insegnamenti parigini di Nadia Boulanger, nella quale, non sempre felicemente, si innestano le tradizioni americana ed ebraica delle sue origini. Un colorismo impressionista irruvidito, forse giustamente, dalla bacchetta di Greilsammer. Itinerario 66 è stato per molti, anche se non “freaks”, il mito della giovinezza. Lascia tutto per un po’, attraversa l’oceano, vai alla fermata dell’autobus levriero e fare un biglietto per le 2400 miglia di costo per costo sulla Route 66. Era certo che il mondo intero e la Libertà erano appostati ai margini di quella strada. Michael Daugherty finge di crederci ancora e, nel 1998, trent’anni dopo, ci si butta, grazie a una commissione di un’orchestra fantasma di Kalamazoo, con molta spavalderia, malafede e avidità. Il pezzo prende dall’avanguardia, dall’attualità e dallo studio, tutto il necessario per trasformarlo in un piatto appetitoso anche per il più bigotto dei tradizionalisti. Vera eccitazione e vera gioiosa inventiva. Una bacchetta meno intransigente e più divertita di quella di Greilsammer avrebbe colpito il “pop” del bersaglio con una mira più precisa. Il piccolo pubblico presente non ha lesinato gli applausi di ringraziamento ad una folgorante Orchestra che ha sostenuto, senza riserve e con entusiasmo, una direzione forse eccessivamente cauta.

 
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