un progetto ancorato al passato – .

La promessa del riutilizzo piattaforme esistenti in effetti è rimasta una promessa. La FSRU di Ravenna avrebbe dovuto essere realizzata in corrispondenza della piattaforma già esistente al largo Petra (sempre al largo di Punta Marina), semplicemente adattandola e ammodernandola per ospitare un nuovo terminale di rigassificazione. Il riutilizzo della struttura, spiega Snam, consentirebbe la riduzione dei costi e dei tempi di lavorazione. Dal febbraio 2024 sono però in corso i lavori per lo smantellamento della piattaforma stessa, con un notevole aumento dei costi di produzione.

Come funziona un terminale di rigassificazione offshore a circuito aperto

Le navi di rigassificazione o unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (FSRU) trasformano il gas naturale liquefatto (GNL). Il gas allo stato liquido occupa meno volume di quello allo stato gassoso e può quindi essere trasportato più facilmente. Viene trasportato tramite metaniere alla FSRU dove il gas viene riportato allo stato gassoso per poter poi essere distribuito dalla rete nazionale. Il gas diventa liquido a -162 gradi e mantiene questa temperatura fino al raggiungimento della FSRU. Una volta raggiunta la piattaforma offshore, il gas passa dalla metaniera alla nave di rigassificazione.

L’acqua di mare viene prelevata, portata a contatto con i radiatori dove si trova il gas naturale liquefatto e poi rilasciata nuovamente in mare. Lo scambio termico tra l’acqua di mare e il gas consente al gas di ritornare in forma gassosa, pronto per essere immesso nella rete nazionale.

Secondo il progetto presentato da Snam, la FSRU di Ravenna potrà stoccare fino a 170mila metri cubi di GNL, rigassificarlo e trasferirlo in un nuovo metanodotto che lo condurrà al punto di connessione alla rete dei gasdotti situato a circa 42 km dal punto di attracco alla piattaforma Petra. La FSRU sarà rifornita di carburante a intervalli regolari ogni 5-7 giorni da navi metaniere e sarà anche in grado di rifornire di carburante navi metaniere di piccole e medie dimensioni.

L’impianto di Punta di Marina sarà collegato alla rete nazionale dei gasdotti mediante la realizzazione di metanodotti onshore (a terra). Le metaniere che trasportano GNL sia in entrata che in uscita dal Terminal BW Singapore consentiranno invece le operazioni in mare (al largo) di carico e scarico.

Ma Ravenna non si ferma al gas. L’hub energetico sarà realizzato in prossimità dell’impianto di rigassificazione al largo Romagna1&2 di Agnes Holding Srl e il progetto Callisto, l’infrastruttura di stoccaggio della CO₂ (Carbon Capture and Storage – CCS) sviluppata da Eni. Inoltre, il progetto del terminale di rigassificazione prevederebbe anche la realizzazione di una sezione di metanodotto in mare ed un tratto a terra unitamente all’impianto regolatorio denominato PDE Wobbe.

«Spesso si pensa che siano due cose separate, la PDE e il rigassificatore, ma senza l’uno l’altro non può funzionare. Sono un meccanismo unico”, spiega l’ingegnere Riccardo Merendi.

Cos’è l’indice di Wobbe

Basandosi sulla densità di due gas e sul loro volume, l’indice di Wobbe permette di confrontare il loro potere calorifico.

Il PDE-Wobbe è, quindi, l’impianto in cui il gas verrà trattato prima di essere immesso nella rete nazionale. Un passaggio delicato e fondamentale nel processo di rigassificazione.

Le apparecchiature ed i sistemi dedicati alla correzione dell’indice di Wobbe sono stati forniti in un impianto dedicato situato in prossimità dell’impianto di filtraggio e misura fiscale (PDE FSRU di Ravenna e impianto di regolazione DP 100-75 bar) sito in Punta Marina.

Nonostante Ravenna venga descritta come il luogo perfetto per il terminale GNL, il territorio dovrà cambiare per accoglierlo. Sarà infatti necessario effettuare dragaggi, scavi nella sabbia effettuati sott’acqua necessari per spostare il materiale del fondale e ridurre al minimo la quantità di acqua rimossa insieme ai sedimenti. I detriti finirebbero poi nei contenitori.

Se per l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente dell’Emilia-Romagna (Arpae) «qualsiasi futura attività (possibilmente periodica) di immersione in mare di sedimenti dragati dovrà essere soggetta ad autorizzazione e in questo contesto tutti gli aspetti tecnici rilevanti saranno valutati anche alla luce dei dati di monitoraggio trasmessi”, secondo l’ingegner Merendi è più impegnativo di come viene presentato e “la necessità di dragaggi sarà invece costante”.

Un’infrastruttura problematica

Il progetto è stato presentato secondo i dettagli citati, ma diversi esperti, cittadini e politici hanno evidenziato molteplici criticità, in primis l’ingresso di cloro nel mare. Negli impianti di rigassificazione a circuito aperto, come quello di Ravenna, l’acqua di mare viene utilizzata per fornire il calore necessario a riportare il GNL allo stato gassoso per poi essere reimmesso in mare. Per evitare che alcuni organismi possano proliferare all’interno della struttura, l’acqua di mare utilizzata per il processo di raffreddamento viene trattata con ipoclorito di sodio (NaClO), comune candeggina, utilizzata proprio per la sua azione disinfettante.

 
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