ECCO COME BERGAMO UCCIDE L’AGRICOLTURA PER SVENDERSI AGLI HUB LOGISTIVI – .

ECCO COME BERGAMO UCCIDE L’AGRICOLTURA PER SVENDERSI AGLI HUB LOGISTIVI – .
ECCO COME BERGAMO UCCIDE L’AGRICOLTURA PER SVENDERSI AGLI HUB LOGISTIVI – .

Dove c’erano gli zoccoli, spaventosi magazzini di dimensioni mostruose, nuove geometrie di un mondo che vira (definitivamente) verso l’alienazione. Dalla civiltà contadina alla civiltà logistica, nel giro di pochi anni, con l’estinzione totale dell’ultima agricoltura. La vista dall’alto parla da sola: cubi, cubi enormi, come in un surreale mega-Lego, collegati tra loro da un sistema viario oggettivamente perfetto, collegato con la nuova autostrada Bre-Be-Mi, per non dire che sono Sono cattedrali nel deserto, a cui nessuno ha pensato alle infrastrutture. D’altro canto, il nuovo mondo dell’e-commerce è incentrato sul traffico veloce di camion e furgoni. E pazienza se qui dove c’erano cereali e foraggi ora c’è un viavai continuo di veicoli, 24 ore su 24, con le conseguenti conseguenze in termini di inquinamento e polveri sottili. Vogliamo un mondo verde, vogliamo l’indipendenza alimentare, ma ciò non significa che debba essere realizzato qui.

È così, perché qui le amministrazioni locali hanno ceduto, tentate dai soliti pifferai magici, ci danno i terreni e noi portiamo i magazzini, con il loro carico di occupazione e di costi urbanistici, cioè soldi per tutti. In definitiva (e che importa), la filosofia del grande cambiamento, diciamo la partitura musicale, non è molto diversa da quella che il territorio bergamasco ha esibito al mondo intero nei primi giorni del Covid, sindaci in testa: e chi è fermarci? noi, ma che virus, Bergamo non si fa impressionare da un raffreddore, abbiamo gli affari da portare avanti, teniamo in piedi il Paese, per favore fregatevene e fateci lavorare. La stessa voracità, lo stesso cinismo. Per una montagna di soldi, vendi la tua anima. Un bel patto con il diavolo, per sempre. In questo caso, qui nella bassa pianura, si svendono le campagne e si dà il benvenuto all’assedio definitivo della logistica. Ma quale equilibrio e quale senso delle proporzioni: vogliamo tutto, vogliamo di più. Per quanto riguarda la bella storia del consumo di suolo pari a zero, lasciali andare e raccontala da qualche altra parte. Qui siamo persone che lavorano e producono.

Lungo la Bre-Be-Mi (e forse tutti hanno finalmente capito perché hanno costruito in fretta questa autostrada all’inizio considerata inutile), lungo la direttrice est-ovest, ora ci sono più megadepositi di merci che segale e margherite. E ora che la gente se ne sta rendendo conto, tanto da aver praticamente mandato a casa tutti i sindaci responsabili delle operazioni suicide, ormai è troppo tardi. Allarme fuori tempo massimo. Per una serie di comuni i buoi sono già scappati, sono lontanissimi, si voltano a fare il gesto dell’ombrello. E non c’è più modo di risolverlo.

La situazione già creatasi è difficile, con insediamenti operativi da qualche anno, come Amazon a Casirate e Cividate. Ma quello che stanno per fare è ancora più impressionante, con gli accordi già firmati, pronti a diventare cemento e catrame.

Il caso più clamoroso è quello di Misano, dove la senatrice leghista Daisy Pirovano, sindaco per 15 anni, si è vista cacciare dalla città. In mezzo c’è la zona industriale a nord del paese, autorizzata da Pirovano, che prevede una logistica di 28mila metri quadrati, 10 metri di altezza, a poche centinaia di metri dal Santuario di Caravaggio. Anche il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni, si è mosso contro il progetto, convocando i fedeli sull’altare per una crociata postmoderna. Con orgoglio, Pirovano spiega così la fase storica al “Corriere” di Bergamo: «Sono comunque molto orgoglioso del nostro risultato, vista una campagna elettorale non alla pari. Per quanto riguarda la zona di produzione, ricordo solo che i misanesi l’hanno “votata” per tre mandati, eleggendoci, ed è conforme al PGT dal 2011. Oggi purtroppo queste zone sono per lo più sistemate con strutture logistiche: a Caravaggio ne verrà costruito uno tre volte più grande di questo, Calvenzano ne autorizzò tre.

E purtroppo è così. Stanno arrivando nuove astronavi di dimensioni galattiche, con lo stravolgimento totale della vita e della storia di questi villaggi. Così hanno scelto gli uomini di oggi, a testa bassa, contando i loro soldi, senza nemmeno tener conto del mondo che trasmetteranno ai loro figli e nipoti.

Stessa storia anche nel Calcio, dove dopo due mandati il ​​centrosinistra ammaina la bandiera dal municipio. Anche qui: il feeling con la popolazione si è rotto a causa dei maxi magazzini, due già operativi e un terzo in arrivo. Così ha prevalso nel voto Marco Gazzaniga, del partito civico di centrodestra «Vivi Calcio». Il commento: «C’era malcontento in città per questi insediamenti. Poi è vero che la campagna elettorale si è combattuta su altri temi, perché ora si fa tutto sulla logistica, il terzo insediamento ha un accordo e stanno già tracciando le strade d’accesso”.

Ripresa anche a Isso, dove la settimana scorsa la Fondazione Mia ha venduto per 4,8 milioni un’area di 76mila metri quadrati su cui è autorizzato un magazzino di 28mila metri quadrati. Qui la caduta è del sindaco di centrodestra Rocco Maccali, alla ricerca del suo quinto mandato, il terzo consecutivo.

Il centrosinistra sconfitto a Cortenuova dopo quasi 30 anni. Il Paese ha accolto con favore la maxi logistica di “Md” e ha appena ottenuto il via libera per un secondo maxi magazzino. Ma il progetto che fa più discutere è l’immenso centro intermodale che stravolgerebbe completamente la frazione di Santa Maria.

Un caso storico è quello di Roberto Ravanelli, sindaco di Arcene, che ha cambiato squadra per difendere il progetto di una struttura logistica di 22mila metri quadrati nell’ex Cascina nuova e di un data center di 50mila metri in un’area destinata a parco agricolo. Ravanelli ha rotto con il civico di centrosinistra «Insieme per Arcene» e si è ricandidato con il centrodestra «Cambiando Arcene», vincendo con il 51,88% dei voti. Il commento è stato entusiasta: «A mio favore c’è il fatto che ho sempre espresso le mie idee in modo molto trasparente: ora porterò avanti i due progetti».

La pianura bergamasca celebra festosamente il suo sontuoso funerale, traboccante di soldi e traffico, lavoro a basso costo e inquinamento, senza preoccuparsi minimamente dello stile di vita di cui godrà.

Questo si chiama sviluppo, non ci sono dubbi, nessuno lo può negare. Ma a un certo punto, come dice il Papa, dovremmo anche poterci chiedere fino a che punto, fino a che punto possono arrivare lo sviluppo e il progresso. In modo che non diventino semplicemente avidità. Questo diabolico dogma della crescita continua, ad ogni costo, in ogni modo, trova in queste zone di campagna devastate lo specchio in cui guardarsi. Se ci fosse qualcuno capace di porsi un dubbio, di chiedersi se il dogma sia davvero così incrollabile e indiscutibile. Ma non c’è. Le voci timide che si levano sono troppo timide. In genere le popolazioni locali delegano i sindaci, e questi sindaci lo fanno senza limiti e senza vergogna. Si siedono alla cassa e contano le fatture.

La chiamano ancora Bergamo operosa. Ma ha tutte le apparenze di una Bergamo pazza e ingorda, ossessionata solo dal benessere del mucchio, incapace di concedersi un minimo di tregua e di riflessione. Se lo scopo dell’uomo è trovare un minimo di felicità, sembra che da queste parti l’abbiano trovata nella spettrale e gigantesca logistica. Datemi una tettoia e solleverò il mondo per voi. A chi importa cosa hanno seppellito?

 
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