Aborto semigarantito, Fermo e Jesi top nero (dove il 100% dei ginecologi si rifiuta di praticare l’aborto volontario) – .

Aborto semigarantito, Fermo e Jesi top nero (dove il 100% dei ginecologi si rifiuta di praticare l’aborto volontario) – .
Aborto semigarantito, Fermo e Jesi top nero (dove il 100% dei ginecologi si rifiuta di praticare l’aborto volontario) – .

ANCONA La polemica sull’aborto scoppiata tra Italia e Francia all’ombra del G7 rimette i riflettori su una questione particolarmente delicata nelle Marche, da sempre terra di obiettori a prescindere dal colore politico di chi le governa. Domani la questione approderà sui tavoli del Consiglio regionale – in contemporanea è previsto anche un incontro della rete femminista ad Ancona – dove si parlerà dello stato di applicazione della legge 194, dell’interruzione volontaria di gravidanza con metodi farmacologici e del ruolo dei consulenti.

Il contesto

Un quadro, quello delle Marche, fortemente critico da questo punto di vista. A cominciare dall’utilizzo del metodo farmacologico, disponibile in poche strutture e solo fino alle 7 settimane di gestazione (nel resto d’Italia è possibile fino alle 9 settimane). E ancora: nella rete dei consultori – anch’essa in sofferenza per carenza di personale e strumenti – solo in 9 sedi sui 66 presenti sul territorio regionale non ci sono medici obiettori di coscienza, mentre in 7 rappresentano il 100%. Nel 2023 solo 27 sedi hanno rilasciato certificazioni per l’interruzione volontaria di gravidanza. Una criticità che nelle strutture ospedaliere è amplificata.

Il vulnus

Dal febbraio 2023 nell’ospedale di Ascoli Piceno non è più possibile abortire affidandosi all’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica (Aied) a seguito di un atto amministrativo della Giunta regionale con cui è stata stipulata la convenzione che da allora regolava i rapporti. Il 1981 è stato cancellato. Tra le parti. Inoltre, secondo i dati forniti dall’Ars alla rete Pro-choice Rica, il 100% dei ginecologi degli ospedali di Fermo e Jesi sono obiettori di coscienza. Non va meglio a Osimo e Fano, dove rappresentano rispettivamente il 91 e il 90% del totale. E anche all’ospedale di Senigallia sono la maggioranza assoluta (82%). Solo ad Ancona e Urbino la percentuale degli obiettori resta sotto il 30%. Ma l’eccezione che conferma la regola non basta a garantire un buon servizio. Per le donne marchigiane l’interruzione volontaria di gravidanza rappresenta un vero e proprio percorso a ostacoli. Una vulnerabilità che ci portiamo dietro da decenni. La Regione, inoltre, ha deciso di non dare attuazione alle Linee guida nazionali 2020 per l’applicazione dell’aborto farmacologico mediante la somministrazione della pillola RU486 all’interno delle cliniche. Una scelta che si è trasformata nell’ennesima posta in gioco. «Le donne che decidono in piena coscienza di interrompere la gravidanza – si legge nell’interrogazione del Pd che verrà discussa domani in Aula – non devono subire ulteriori stress psicologici e un ritardo nei tempi di intervento causato anche dalla presenza di professionisti -ergastolani all’interno delle cliniche”. O almeno così dovrebbe essere per legge.

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Corriere Adriatico

 
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