5 prodotti realizzati dai ragazzi della “Scuola del fare” di Tesero – .

“Per favore, non ne abbiamo bisogno gestori! Abbiamo bisogno di teste aperte e pensanti, collegate a mani capaci”.

Con questa esortazione L’arch Giorgio Caporaso, fissando il pubblico, conclude il suo discorso. Si tratta di un pubblico prevalentemente molto giovane, cosa insolita per una manifestazione in cui si parla di legno e design. È composto principalmente da studenti della “Scuola del Legno” di Tesero, in Val di Fiemme, che sono in realtà i veri protagonisti di questa serata. Nella stanza cala un silenzio contemplativo e ripenso a mia nonna, che spesso usava proprio quel termine, gestionea sgridarmi quando facevo le cose con troppa approssimazione, solo per il gusto di farle.

Non è il caso dei ragazzi dell’ENAIP di Tesero, che prossimamente presenteranno il loro lavoro, realizzato nell’ambito del progetto “IncasTree” presso aziende locali e nato proprio dai progetti di Caporaso. L’hanno usato Legname certificato PEFC in parte derivanti da abeti rossi attaccati dal bostricoil coleottero che in seguito alla tempesta Vaia e spinto dai cambiamenti climatici sta causando numerosi danni ai boschi di abete rosso delle Alpi. Il progetto IncasTree rientra nella campagna di sensibilizzazione Le foreste sono la casa che, ideato da PEFC International, promuove acquisti sostenibili nel settore legno-arredo coinvolgendo tutti gli attori della filiera, alla ricerca di un nuovo modo di produrre in modo sostenibile. In questo caso, l’“incastro magico” (già dal titolo del progetto!) è stato realizzato da PEFC e Scuola del Legno, insieme all’architetto Caporaso, all’Associazione Artigiani Confartigianato trentino e a 5 aziende locali del settore legno-arredo. : Fiemme Tremila-Defrancesco Arredamenti, Corazzolla, Matika Wood, Zadra Interni e Giemme Arredamenti.

Un connubio vincente tra territorio, scuola, design e imprese. Un mix di approcci e conoscenze. Un incontro tra generazioni.

L’architetto Caporaso ha appena illustrato l’idea – ma forse è più opportuno parlarne missione – su cui lavora da anni. Riguarda un approccio al design che ha racchiuso in un Manifesto in 15 punti e che prende il nome di “Circular Design”. Ascoltandolo spiegare con passione i punti chiave del suo Manifesto, Caporaso ci ha fatto capire come certi termini come “circolarità” e “sostenibilità” siano in realtà molto spesso abusati.

Non basta, infatti, che un prodotto sia realizzato con un materiale naturale e che, a fine vita, sia riciclabile o biodegradabile per definirlo veramente “circolare” o “sostenibile”..

Il prodotto deve essere progettato pensando fin dall’inizio alla sua intera vita: produzione, utilizzo, smaltimento/riciclo. Per fare questo è innanzitutto necessario che il prodotto sia progettato in modo da garantire che la sua vita sia la più lunga e diversificata possibile. Per produrlo è necessario utilizzare materiali naturali, rinnovabili, ecocompatibili, riciclati o riciclabili, ma è necessario anche agire sulla quantità (il meno possibile) e sulla tipologia (rinnovabile) di energia necessaria per creare, conservarli e spostarli. È necessario limitare l’inquinamento generato dalla fase produttiva, così come è importante ridurre gli scarti di lavorazione. E ancora, è necessario che un prodotto sia facilmente montabile e smontabile, riparabile, trasformabile, modulare, e che alla fine della sua vita – per quanto possibile lontano nel tempo – possa essere facilmente smontato e poi riutilizzato o riciclato, così riportandolo a nuova vita. In breve, si tratta un vero e proprio cambio di paradigma nel designche vede il designer non solo come persona creativa, ma come “compositore”, capace di scrivere le varie “partiture” di un’intera orchestra chiamata a suonare la sinfonia della vera circolarità, della vera sostenibilità.

Penso a quanto sono stati fortunati questi ragazzichiamati a confrontarsi con questo tipo di progettazione per poi sporcarsi le mani, in azienda, lavorando duramente al fianco di veri artigiani per tradurre i progetti in oggetti reali. Ecco come si alza l’asticella della formazione. Ecco come una scuola professionale di montagna può formare “teste aperte e pensanti” e non solo “handler”.

Adesso è il loro turno. Divisi in cinque gruppi e guidati dagli artigiani che li hanno accompagnati, dovranno presentare i prodotti, spiegando anche cosa hanno imparato e cosa portano a casa da questa esperienza. Da lontano scruto gli sguardi dei loro insegnanti, che mescolano emozione e preoccupazione. Sono stati bravi, sì, a lavorare in azienda ma… come se la caveranno con il microfono in mano? Sono ancora adolescenti di una scuola professionale e i giovani di oggi, si sa, non leggono più, non si informano, stanno sempre al telefono…

E invece comincia ad avvenire una sorta di miracolomentre gli occhi degli anziani nella stanza diventano sempre più lucidi.

Uno dopo l’altro, in modo diverso ma viaggiando tutti sulla stessa lunghezza d’onda, gli Studenti del Legno iniziano a minare qualcosa di grande e profondo dentro di sé. C’è orgoglio ed emozione, c’è divertimento e soprattutto passione. Parlano del legno come bene prezioso del loro territorio, della sostenibilità di questa straordinaria materia prima, del lavoro in azienda come scuola di vita, di trasformare il progetto di un designer in un prodotto concreto come una grande sfida, affrontata con impegno, dedizione e spirito di squadra. Parlano con orgoglio delle loro intuizioni, scherzano sui loro errori, hanno un pezzo di carta in mano ma dopo aver letto qualche riga spesso lo lasciano cadere per lasciare spazio alle proprie emozioni. Parlano del deprezzamento di quel legno conseguente all’attacco del bostrico – reso bluastro dai funghi simbiotici del coleottero (ne abbiamo già parlato qui) – come di un’ingiustizia, contro la quale sentivano l’obbligo morale di lottare. Dare una seconda possibilità a quel legno “meno fortunato” significava regalarne una nuova opportunità anche a se stessi e alle loro valli, così in difficoltà dalla tempesta di fine 2018 in poi. Significava fare la tua parte.

Riprendo in mano il microfono al termine delle loro testimonianze, mentre un lungo applauso avvolge la sala. Provo a dire qualcosa, ma mi accorgo che la mia voce è bloccata da un nodo in gola. Maledetta emozione! Non dovrebbe succedere ad un moderatore, chiamato a gestire con professionalità un evento importante come questo! Per l’occasione mi sono anche messo la giacca ed eccomi qui, palesemente imbarazzata, alla ricerca di parole che faticano ad uscire.

Un po’ biascicando, ripeto allora quella frase dell’architetto Caporaso: “Per favore, non ne abbiamo bisogno gestori! Abbiamo bisogno di teste aperte e pensanti, collegate a mani capaci”. E aggiungo questo non vale solo per la lavorazione del legno, ma per tutte le grandi sfide che le nostre foreste e le nostre montagne si troveranno ad affrontare nel prossimo futuro, tra abbandono, crisi climatica, vecchi modelli difficili da scardinare e un mondo a tutto tondo che non investe abbastanza nelle Terre Alte in chiave moderna. Questi ragazzi sono una parte molto importante del futuro delle nostre montagne, stanno imparando a lavorare una materia prima locale rinnovabile in modo circolare e sostenibile, hanno passione e voglia di restare, di investire la propria vita in queste valli. Tutto questo dovrebbe essere un modello, da studiare ed esportare ovunque sulle montagne italianeun’iniziativa non semplice come tante, da dimenticare dopo la serata di gala.

Do un’occhiata, in fondo alla sala, ai cinque oggetti di design esposti in bella vista. E lo penso anche da una sedia, da una libreria, da una panca, da uno schermo, ma soprattutto da una “Scuola del fare” come quella di Tesero, è possibile costruire una piccola-grande parte del nuovo percorso delle Altre Montagne .

Scuola del fare. Si chiamano così, ma da stasera vi propongo un’aggiunta. “Scuola del pensare e del fare”perché non abbiamo più bisogno… di gestori!

Tutte le foto dei prodotti sono di Elisa Fedrizzi

 
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