Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbie – .

Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbie – .
Il boia e la macchina della morte. Le teste mozzate nelle gabbie – .

Cesena e la ferocia pubblica di ieri: ghigliottine, gabbie con le teste mozzate di banditi, carnefici invisibili alla popolazione. Eventi poco raccontati nei nostri tempi dove spesso prevale l’edulcorato racconto storico, ma utili per comprendere il faticoso cammino della civiltà. Alziamo il sipario. Nell’Archivio Storico c’è un documento rivelatore: il ‘Liber Malleficiorum’ (oggi diremmo ‘Criminal Minds’) che raccoglie i procedimenti penali di cinquecento anni fa, comprese le esecuzioni capitali avvenute in città. In quei volumi lo scrupoloso cronista disegnò anche l’antenato della ghigliottina in stile cesenate. Riproduciamo uno dei due disegni che raccontano come era realizzata quella macchina per uccidere: un telaio quadrangolare nel quale scorreva un pesante coltello, trattenuto da una corda; lama che cadeva, una volta che il boia aveva tagliato la corda, sul collo del condannato. La differenza principale rispetto alla moderna ghigliottina, la “medicina raffinata” della Rivoluzione francese quattro secoli dopo, era la forma della mannaia. Quello romagnolo è quadrato, quello francese è obliquo e a forma di mezzaluna. Curiosità storica. Fu lo stesso re di Francia ad approvare, nel marzo 1792, lo strumento perfezionato che rendeva «meno dolorosa» l’esecuzione capitale. Lo sfortunato Luigi XVI non sapeva che dieci mesi dopo anche la sua testa sarebbe finita sotto la ghigliottina.

Anche a Cesena, nei secoli scorsi, le esecuzioni pubbliche prevedevano l’esposizione delle spoglie dei condannati in punti nevralgici della città: ‘a monito dei malvagi e per la tranquillità dei buoni’. Come nel caso di Bascoza e Ragnino, due condannati a morte per brigantaggio le cui teste mozzate furono esposte in due gabbie all’ingresso esterno di Porta Fiume nel 1731 e lì rimasero per oltre un secolo, dando origine a detti pittoreschi e a maleducati insegnamenti per i bambini dell’epoca. Della serie: ‘se non la smetti di fare il cattivo farai la fine di Bascoza e Ragnino’. Particolare saliente: il poliziotto che aveva tagliato la testa dopo l’esposizione dei cadaveri in Piazza Grande a Cesena era soprannominato ‘Tagliateste’. La figura del boia era terribilmente invisa alla popolazione. Non è un caso che ancora oggi – a distanza di secoli – il termine ‘boia’ continui a condire fumanti imprecazioni e invettive. Sipario finale, tratto dalle ottocentesche ‘Memorie’ di Zellide Fattiboni, figlia laica di Vincenzo Fattiboni, carbonaro e patriota cesenate perseguitato dal regime pontificio. Quel lontano 5 novembre 1854, racconta il nostro cronista, la notizia si diffuse rapidamente a Cesena: il boia sarebbe passato per la città, pernottando nella Rocca e poi recandosi a Macerata dove lo attendeva un’esecuzione. Già all’alba una piccola folla si radunò lungo la salita che dalla Rocca porta a Piazza Grande ‘per avdè e boja’, per vedere il boia. Infine passò il boia, armato di stocco (robusto pugnale) e pistole alla cintola, scortato dai carabinieri anche loro armati. Era già accaduto che il boia avesse ricevuto non solo invettive, ma verdura e sassi. Anche l’accalappiacani era definito dai nostri antenati il ​​”boia di Chen” perché catturava i randagi con una lunga pertica terminante con un cappio a nodo scorsoio.

 
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