La rapina al cinema nel caveau di Sassari – .

Carmelo Burgio

Degni di scene di un film hollywoodiano i video amatoriali girati dai testimoni occasionali dell’attentato al caveau di un istituto di vigilanza di Sassari. Oggi non è più un mistero, di segreti delle banche c’è ben poco, il contante è nei depositi di questi istituti, blindati quanto si vuole, anche se l’esperienza insegna che non c’è obiettivo che non possa essere violato. Servono una mente che sappia pianificare, esecutori addestrati con tecniche militari, materiali adeguati.

L’episodio, che non è il primo in Sardegna e giunge al culmine di una serie di attacchi ai furgoni portavalori, mette in luce alcune criticità irrisolte, in parte frutto di una concezione antica che ha sempre fatto considerare la vigilanza privata una sorta di compagine povera del settore della sicurezza, i cui componenti – peraltro – non sono esenti da sanzioni.

1. I caveau possono essere attaccati solo utilizzando grandi macchine operatrici, modificate con armatura per poter operare sotto il fuoco del dispositivo difensivo. Il furto di uno di questi veicoli dovrebbe far scattare l’allarme, supponendo che possa essere utilizzato per tale azione. In questo caso specifico, non era stata data alcuna informazione ai lavoratori del caveau in merito al furto del veicolo, e quindi alla possibilità di un attacco.

2. A fronte di costi infrastrutturali molto elevati, le aziende che svolgono queste attività devono fare i conti con margini di guadagno limitati, dato che i clienti impongono tariffe basse. Di recente, c’è stata una polemica contro alcune di loro, colpevoli di pagare salari al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia, la magistratura e le istituzioni non hanno verificato quanto siano basse le basi d’asta della clientela illustre. Generalmente inferiori ai 9 euro lordi l’ora, lasciano al dipendente meno della metà del netto. Eppure non sarebbe difficile saperlo: tali tariffe vengono applicate anche per i servizi nei Palazzi di Giustizia. Tariffe più elevate consentirebbero una migliore retribuzione dei singoli e più soldi da investire nel rafforzamento delle difese. Uno stipendio migliore potrebbe anche risolvere la difficoltà di reperire personale da assumere, e attrarre, ad esempio, truppe che dopo anni di vita militare non vengono ammesse al passaggio al servizio permanente.

3. In un’emergenza di questo livello è arrivata sul posto una sola pattuglia di carabinieri. Nel riconoscere il coraggio e l’abnegazione dei ragazzi, che hanno giocato a viso aperto, rischiando di essere uccisi, deve essere chiaro che le altre pattuglie non si sono dissolte. Semplicemente non c’erano, oppure i pochissimi altri disponibili sono stati bloccati altrove, come di solito accade nelle province d’Italia. Credo che dovremmo riflettere sul fatto che un gruppo di fuoco di quelle dimensioni, una volta scatenato per attaccare un qualsiasi bersaglio, verrà generalmente fronteggiato da queste poche forze. Difficile aumentare il numero delle forze di polizia a livello nazionale per garantire uno strumento di risposta più potente, meglio ancora per poter “irrigidire” ulteriormente gli obiettivi e consentire a chi svolge questa attività, vitale per gli interessi della la popolazione. Non dimentichiamo che un attacco di questo genere può determinare effetti collaterali dolorosi. L’unica via da seguire è creare bersagli inviolabili, per un tempo sufficiente a distruggere o rendere inutilizzabile l’eventuale refurtiva con inchiostro o schiuma.

4. Oggi non piangiamo due coraggiosi carabinieri morti solo perché appartenenti al Nucleo Radiomobile, dotati di veicoli con parabrezza blindato. In altri dipartimenti, ad esempio nelle Stazioni, tali veicoli non sono disponibili. Forse è giunto il momento, vista la crescente virulenza della minaccia, di rivedere tali attrezzature. Non sono certo l’Arma o la Polizia di Stato a lesinare sulla sicurezza dei propri uomini: devono fare i conti con la disponibilità, mai sufficiente. Pertanto, ogni volta che un governo si pone domande sull’opportunità di apportare tagli a questo bilancio, provate a pensare che i risparmi apparenti potrebbero tradursi in qualche morte in più. Che ha ancora i suoi costi finanziari per lo Stato, se non si preoccupa dei costi spirituali di chi ha “corrisponduto” – per usare un’espressione di Ungaretti – con il ragazzo in divisa che non è più tra noi.

Concludo con una considerazione, che non vuole essere retorica. Oggi tra i vecchi ex si usa dire “La forza non è più quella di una volta”… “I giovani carabinieri, però…”. Per carità, cambia tutto, ma quei due, ricevuto l’ordine di “prendersi a vicenda a… e spingersi a vicenda fino a…”, anziché fare come i carabinieri tanto gettonati nelle barzellette – portarsi in braccio e spingersi a vicenda – mentre sentivano in lontananza le esplosioni degli spari dei malviventi, si sono buttati in avanti, senza chiedere sconti. Perché dentro di sé sentivano qualcosa. Sicuramente più di tanti ciarlatani da salotto televisivo, abituati a sfruttare un episodio negativo, e a glissare elegantemente l’evidenza dell’onestà e della pacata serietà.
Per loro tutto è dovuto, anche farsi ammazzare, scortarli.

 
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