chi sono i siciliani della più grande sciarra della storia – .

chi sono i siciliani della più grande sciarra della storia – .
chi sono i siciliani della più grande sciarra della storia – .

Due palermitani e un calabrese furono i protagonisti della più grande rissa avvenuta in Parlamento. Tutto ebbe inizio con quella che venne definita la “legge truffa”

Il ritiro è un’arte, c’è poco da dire, come quella della sciarra. Il professor Terranova diceva sempre: «Se non hai mai rubato, non viziarti perché ruberai!». Il professor Terranova era un filosofo. A Palermo c’è una stradina (via Giuseppe Paratore), separato 14 km da uno più noto (via Ugo la Malfa), a sua volta distante 192 km da un altro ancora (via Mario Scelba), niente meno che a Caltagirone.

Due palermitani e una donna di Caltagirone (o Calatino): così chiamata, sembra che la persona qui caduta in un grande vaso di Tavernello, come Obelix nella sfuggente pozione dei Galli. Vi assicuro però che unendo i punti, come nel famoso gioco de “La Settimana Enigmistica”, si racconta la storia dei il più grande Sciarra mai accaduto in Parlamentodove qualche siciliano lo prese, qualcuno lo provocò, qualcun altro si salvò ritirandosi. È stato lo stesso professore a raccontarcelo.

avv.

Tutto accade in 1953. Anno importante: in Russia muore Stalin, Elisabetta II viene incoronata regina di Gran Bretagna, Fidel Castro dà inizio alla rivoluzione cubana, a Berlino gli operai protestano contro le dure condizioni di lavoro e si schierano contro i carri armati sovietici.

In Italia, per non essere da meno, il Parlamento approva la cosiddetta “legge sulla frode” con 174 voti a favore, l’abbandono dell’aula da parte dell’opposizione e solo 3 astensioni. Joseph Paratore non è più il giovane deputato liberale della fervente Palermo e allievo di Crispi. Adesso ha 77 anni, lotta con la prostata ed è presidente della Camera del Senato.

“Professore, ma perché si chiama legge antifrode?”

Carollo, così diceva il professor Terranova, sembrava un padre e lo era davvero, solo che quando parlavamo di sciare gli si illuminava il cervello e ogni tanto faceva domande intelligenti.

Il fatto, ci ha spiegato, è che da una parte c’era la Democrazia Cristiana, al governo, e dall’altra i socialisti e i comunisti, all’opposizione. Il primo ministro era Alcide de Gasperi, anche lui fondatore della Democrazia Cristiana. Tra le fila della maggioranza c’era anche il palermitano Ugo la Malfanominato Ministro del Commercio Estero, ovviamente Paratoree il calatino Mario ScelbaMinistro degli Interni.

È proprio a causa di quest’ultima che è nato tutto il pasticcio e che la legge è stata ribattezzata appunto “frode”, in segno di scherno da parte dell’opposizione. La legge elettorale, scritta dallo stesso Scelba (porta il suo nome), prevede, infatti, che se una fazione vince le elezioni con il 50%+1 dei voti, riceve in premio il 65% dei seggi alle Camere.

La questione viene attentamente studiata dalla maggioranza, che in quel momento vede un calo di popolarità, per garantirsi una superiorità numerica anche se le elezioni successive non andassero bene. Il 21 gennaio di quell’anno, la legge anti-frode di Scelba arriva per la prima volta alla Camera per essere votata.

Il comunista Palmiro Togliatti è il primo a inneggiare al tradimento, gridando: “Questo non è più un Parlamento!”; tutti gli altri lo seguono. Calamai, sedie, tagliacarte, braccioli, sputi, e in prima fila i fratelli Pajetta che stracciano perfino i microfoni per usarli come mazze.

Nemmeno una settimana dopo la legge passa al Senato, dove Paratoreed ecco la grande intuizione del genio, capire che la carta è mal pressata, si ritirò e si dimette. Al suo posto Meuccio Ruini, che il 29 marzo, domenica delle Palme, sarà nella stessa Aula per la votazione finale sulla legge.

È contro di lui che si scaglia l’opposizione, come nella celebre scena di Johnny Stecchino a teatro: “Devi pagarla! Sei un mascalzone! Mascalzone! Sei un pezzo di merda!”. Gli impiegati creano una barriera umana attorno a Ruini per intimidire i malintenzionati, ma serve a poco perché il compagno Colla apre le danze servendo un montante alla Rocky Balboa ai danni del socialdemocratico Bocconi.

Scelba e De Gasperi fuggono, Andreotti resta immobile come un cadavere, prende solo un cesto di spazzatura e se lo mette come casco. Il senatore Palermo (che è napoletano ma c’è sempre Palermo) lancia in aria il sacco delle palline per l’appello. Castagno e Bei usano i banchi come tamburi, e uno di questi colpisce la testa di Ruini.

Intanto il senatore Merlino è colto da un attacco d’isteria e gli occhiali di Pacciardi volano in aria, insieme ad un microfono che, manco a dirlo, colpisce il solito Ruini. Il palermitano Ugo la Malfa si prende una serie di schiaffi dal senatore Lussu, che non vede nemmeno Terence Hill nella scena Salone.

La mega sciarra dura 40 minuti filati, con tre microfoni strappati, 20 tavolette strappate, feriti (tra cui Ruini) e danni a sedie e macchine stenografe. Alla fine la legge passa comunque. Venuti a conoscenza dei fatti, a tutti noi non restava che prendere a cuore le parole del professor Terranova, evitando di scagliarsi e prenderle come La Malfa o almeno ritirarsi al momento giusto come Scelba e Paratore.

Diverso fu per il mio compagno Carollo, il quale, affascinato da tutte queste liti in Parlamento, si ripromise che un giorno anche lui sarebbe diventato deputato. Ci riuscì, o quasi, visto che sbagliò solo una sillaba. L’articolo di giornale, anni dopo, infatti, recitava così: “Arrestato fruttivendolo per rissa al mercato. “L’imputato” Carollo si dichiara innocente”.

 
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