Dal Pakistan alla Sicilia per far crescere comunità di donne solidali – .

Dal Pakistan alla Sicilia per far crescere comunità di donne solidali – .
Dal Pakistan alla Sicilia per far crescere comunità di donne solidali – .

La ricerca sull’emancipazione e la liberazione femminile in un contesto europeo comparato fa parte del suo DNA. Lo puoi leggere nel profondo del suo sguardo, senza timore di smentita, assolutamente ipnotica, ti comunica con ogni parte del suo corpo l’orgoglio di essere e sentirsi una donna libera, emancipata da ogni schema, pregiudizio, costruzione mentale. È inevitabile, quindi, sentirsi rapiti dal suo mondo, che approda allo studio, alla ricerca, dopo un percorso in cui le persone, l’umanità, le donne vengono prima di tutto. Incontrarla è sempre un viaggio in mondi lontani, sconosciuti per molti aspetti, in cui perdersi senza possibilità di mediazione con se stessi.

Lui viene dal Pakistan, Tehseen Nisar Hussain, una giovane ricercatrice pakistana che ha scelto la Sicilia come base in cui vivere e lavorare, il luogo ideale per ispirarsi e rigenerarsi in ogni momento della sua vita, anche subito dopo un viaggio. Cosa che accade da qualche mese, essendosi trasferito a Roma per motivi di lavoro.

Lavora in Italia da 14 anni per comprendere come le donne interagiscono con la società, ma anche e soprattutto tra loro.

Perché hai scelto questo Paese come seconda casa?

Sono venuto a studiare ufficialmente 14 anni fa, anche se già da circa 25 anni studiavo e ricercavo qui, anche se non in modo continuativo. Ho iniziato la mia carriera come insegnante in un Centro Europeo in Pakistan, a Karachi per l’esattezza, per poi proseguire la mia ricerca di donna musulmana in un contesto italiano. Ho però approfondito i miei studi in vari paesi europei, sviluppando progetti e collaborando con la LUISS di Roma, dove mi sono laureato e ho conseguito il dottorato.

Ma qual è sempre stata la tua passione?

Quello di far conoscere le società occidentali e di come aiutare le donne a ritrovarsi all’interno di realtà sociali diverse. Per ora, ad esempio, sto sviluppando la mia ricerca a livello non solo italiano, dato che sto collaborando con l’Università indiana in Pakistan, ponendomi la sfida di mettere in contatto tutte le donne in un contesto internazionale. Nel 2021, infatti, ho creato un gruppo WhatsApp, che si chiama Donne&modernità moltepliciil cui scopo è far crescere una società che abbia in comune la solidarietà e la consapevolezza della profonda spiritualità dell’essere umano.

Di quale spiritualità sono consapevoli le donne?

Ho immaginato una situazione molto complicata per le donne come me, che cercano di trovare la giusta collocazione in una cultura diversa dalla propria. Penso che dobbiamo chiederci come interpretare la nostra vita in modo piuttosto ibridato, con un atteggiamento comparativo nei confronti delle altre donne. Parlo di eterogeneità dell’identità. Dobbiamo essere in grado di affrontare questa ibridità, la complessità delle nostre origini che, insieme alle circostanze e alle sfide politiche e culturali a livello sociologico ed economico, sono inevitabilmente interconnesse. Parlo a nome e delle donne in virtù della mia specializzazione sulle questioni di genere e sul dibattito sulle donne sottomesse, così come sulle culture emancipate.

Problemi che riguardano tutte le culture?

È una storia totalmente diversa nel contesto nordafricano e in quello europeo. In zone come l’India o il Pakistan, per fare esempi a me più vicini, abbiamo realtà molto diverse, le società hanno un livello multiculturale molto forte, di cui in Occidente non siamo consapevoli. Purtroppo l’Occidente non sa interpretare queste differenze e per questo c’è il rischio costante di generalizzare e fare sintesi a livello culturale e socio-economico, centralizzando la questione delle donne in base alla loro provenienza. La mia ricerca affronta questo tema, intuendo il rischio di fare questa generalizzazione soprattutto tra le donne in Medio Oriente, ad esempio nella comunità musulmana.

Le donne, la cui identità è molto diversa da quella di chi viene dal Pakistan. È generalizzato perché, da un lato, si pensa che tutte le donne musulmane siano uguali alle altre, mentre dall’altro il dibattito verte su cosa genera il patriarcato. Questo perché siamo rimasti sotto l’influenza del colonialismo, ma anche il patriarcato sotto il colonialismo aveva una configurazione molto diversa da paese a paese. Le donne che hanno vissuto sotto il patriarcato francese, ad esempio, hanno un bagaglio di differenze molto forti rispetto alle altre. Ecco perché dobbiamo separare i casi che pongono un aspetto molto nuovo del dibattito sul genere. Tuttavia, se non ci pensiamo attentamente, come ho detto prima, rischiamo di banalizzare a tutti i livelli,

Ma qual è l’errore più comune commesso in questo dibattito? Chi generalizza?

Durante il colonialismo, fatta eccezione per i maschi e gli indigeni, paradossalmente erano le donne a generalizzare verso altre donne. Ci sono paradigmi con diversi livelli di interpretazione di cui dobbiamo discutere. Io dico che, solo quando ci concentreremo davvero su questo tema, saremo in grado di identificare la nostra capacità di interpretare, chiaramente, in modo non separato.

Ciò che sta facendo oggi è il motivo per cui ha lasciato casa?

Direi di sì. Sono un accademico e lavoro nel campo di studi di generestudi di genere, sollecitando e intervenendo nel dibattito sulla capacità di genere e sostenibilità. Viviamo in un mondo molto complicato rispetto alla struttura delle società maschiliste, quindi il rischio è che la nostra verità venga interpretata dalla nuova era digitalizzata e dalla globalizzazione.

Dobbiamo stare molto attenti perché, ad esempio, durante il Covid le donne hanno sofferto in silenzio. Ci sono stati numerosi episodi di cui si sapeva molto poco. In questo momento sto collaborando con l’università per elaborare diversi modelli di narrazione che vengono dal Sud e che hanno bisogno di crescere a livello più generale. Nel senso che c’è un nuovo approccio al dibattito sul genere; persone ibridate in un contesto geopolitico complesso, tra guerre e conflitti che viviamo proprio dentro le nostre case. Una situazione che ci chiede chiarezza su cosa sta succedendo e su come e cosa si può costruire, come possiamo svilupparci e crescere insieme attraverso la solidarietà. Dico questo perché, senza questo spirito, il rischio è di perdere tutto quello che abbiamo già costruito all’interno del processo di vera emancipazione.

L’ho detto e lo ripeto, la vera liberazione è quella dello spirito. Il livello fisico non esiste lungo questo percorso. Lo slogan “My Body My Rights” è giusto, ok, è uno slogan molto importante, ma dobbiamo capire quali sfide si trovano dentro di noi, dove si trova il mondo costruito da noi stessi.

Oggi, quando torna in Pakistan, cosa porta con sé?

Per ora torno ogni tre anni sia perché lavoro sia perché i costi dei voli sono aumentati notevolmente. Quando mi ricongiungo alla mia famiglia porto loro in dono un sentimento molto profondo, innanzitutto perché sono nato in Pakistan e sono legato spiritualmente e mentalmente alla mia terra. La prossima volta, ad esempio, tornerò con un sentimento in più, quello che mi riempie di gioia in questi giorni perché ho ottenuto la cittadinanza italiana e direi anche e soprattutto siciliana. Sento dentro di me un legame fortissimo con la Sicilia dove sono cresciute le mie amicizie e tutti i miei legami più importanti. È incredibile, non ci sono parole per spiegare quello che provo.

Posso solo dire che quando ho messo piede in questa splendida terra ho pianto e ogni volta che torno dai miei viaggi vivo continue emozioni che mi fanno sentire di appartenere ad un’isola con una storia e un’umanità molto profonde.. Non penso che possa esserci qualcosa di più grande. Almeno per me.

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

PREV Preolimpica, facile vittoria dell’Italia sul Bahrein – .
NEXT le indagini rivelano una rete di attività illegali – .