LA MACROREGIONE È DIETRO L’ANGOLO – Talenti Lucani – .

LA MACROREGIONE È DIETRO L’ANGOLO – Talenti Lucani – .
LA MACROREGIONE È DIETRO L’ANGOLO – Talenti Lucani – .

GIUSEPPE MONTAGANO

Una delle critiche mosse alla proposta di Macroregione del Sud è che ricorda lo Stato neoborbonico e che è un’idea irrealistica, nostalgica e antistorica. La risposta alla volgare etichettatura neoborbonica è quella di chiarire la funzione della Macroregione come concetto europeo e quindi moderno: da un editoriale del 2017 di Andrea Piraino “Una macroregione del Mediterraneo per la rinascita del Sud” sarebbe essenzialmente uno strumento per la migliore attuazione della coesione territoriale che, nei più recenti processi di sviluppo, affianca e integra la coesione economico-sociale, in riferimento alla quale è stata finora indirizzata la maggioranza delle politiche europee. D’altro canto, la strategia di cooperazione territoriale mira a evitare la dispersione delle risorse. Li concentra nel tentativo di risolvere alcuni problemi comuni a più autorità statali e substatali in alcuni macro-settori (definiti “pilastri” o “obiettivi”) la cui dimensione può variare a seconda dei soggetti partecipanti. Da qui la sua natura funzionalista da cui la Commissione Europea fa derivare la famosa “regola dei tre no”: 1) No! a finanziamenti specifici dal bilancio dell’UE, ma al coordinamento dei fondi europei e nazionali esistenti; 2)No! l’introduzione di una legislazione specifica poiché ogni strategia macroregionale deve essere solo il risultato di una nuova pianificazione; 3) No! alla creazione di un ulteriore livello istituzionale applicando alle MacroRegioni i principi di cooperazione, coordinamento, integrazione e governance multilivello. Un approccio, in definitiva, – questo macroregionale – che ha come obiettivo il miglior coordinamento delle istituzioni e delle risorse già disponibili nell’ambito delle norme vigenti. Ora, se pensiamo per un attimo a quanto appena accennato, ci rendiamo subito conto che l’efficacia di questa prospettiva finisce per essere definita dalla circostanza che il miglior coordinamento che essa assicura nasce dall’abbattimento e dal superamento dei confini politici. procedimenti amministrativi entro i quali, ad oggi, restano vincolati Stati, Regioni e diversi enti territoriali. Il che significa che la MacroRegione è una forma di aggregazione di territori determinata non più da eredità e vincoli storici, ma dalla capacità di ribaltare il concetto di confine da luogo di limite, di delimitazione, di divieto di attraversamento nel luogo di incontro , di collaborazione, cooperazione, integrazione. Ma se questo è vero – e le Macro Regioni già costituite (Baltica, Danubiana, Adriatico-Jonica e Alpina) lo confermano – le conseguenze dell’adozione di questa strategia nel sistema comunitario dell’Unione non si limiteranno a gli obiettivi specifici attorno ai quali è stata costruita ma, pur non rappresentando un nuovo soggetto istituzionale, incideranno sulle vecchie aggregazioni territoriali degli Stati nazionali esistenti e dimostreranno come siano proprio questi ultimi con le loro invalicabili delimitazioni a impedire la costruzione della Comunità L’Europa dei Padri Fondatori. Non solo. Ma le MacroRegioni mostreranno questa attitudine al coordinamento, alla cooperazione e anche all’integrazione ancor più, se possibile, con riferimento ai sistemi regionali che in Italia, come in altri paesi europei, sono sottoposti ad un ritorno del centralismo statalista che tende a depotenziarli, sia dal potere legislativo che amministrativo, mortificandoli soprattutto con tagli lineari. Naturalmente, qui non vogliamo mettere in discussione il fatto che le Regioni oggi, almeno in Italia, sono diventate in gran parte centri di potere fini a se stessi, incapaci di provvedere alle esigenze di sviluppo socio-economico dei territori, lontani dalle impegno per la crescita democratica delle popolazioni, insensibile alla tutela dei diritti di cittadinanza. Come sottolinea l’opinione pubblica, negli ultimi anni le Regioni si sono trasformate in soggetti di inquinamento della gestione amministrativa, in centri di evasione dalla stessa autorità di regolamentazione dello Stato, rinunciando al proprio ruolo di programmazione e regolazione per tuffarsi direttamente o attraverso la promozione delle società controllate ed entità soggette a rigida suddivisione politica. Ciò che va sottolineato invece è che, se si vuole inserire virtuosamente il sistema regionale in un nuovo assetto della Repubblica, occorre che ci sia un’altra strada da seguire. E, appunto, quello del riordino territoriale delle venti Regioni attualmente previsto dall’art. 131 della Costituzione, come ora segnala un vasto movimento di opinione che ha portato diversi parlamentari a presentare proposte di leggi costituzionali per “ridisegnare la mappa dell’Italia” (Roberto Morassut). Del resto, questa prospettiva di modificare le attuali Regioni per costruire un inedito sistema di MacroRegioni non rappresenta altro che la riemersione di un’idea antica la cui nascita, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, fu proposta dal leader dell’Indipendenza Siciliana Movimento (MIS), Andrea Finocchiaro Aprile, e poi ripreso, nella prima metà degli anni Settanta del secolo scorso, da un lato, da Guido Fanti, primo presidente della Regione Emilia-Romagna, e, dall’altro, da Piersanti Mattarella, allora semplice deputato dell’Assemblea regionale siciliana. Da allora, per circa quindici anni, la proposta macroregionale sembrò scomparire dall’agenda politico-istituzionale per riemergere nel 1992 con la famosa ricerca della Fondazione Agnelli che rilanciò l’idea delle aree macrogeoeconomiche con una prospettiva pro -Vocazione europea come alternativa al regionalismo burocratico-amministrativo dell’esperienza attuata in Italia e criticata anche dalla proposta federalista della Lega Nord e per essa da Gianfranco Miglio che riprendeva una sua vecchia convinzione e sosteneva una rinnovata architettura istituzionale del paese in tre MacroRegioni (o “Italie”). Arrivando così ad oggi, in cui la riforma dell’assetto della Repubblica in chiave macroregionale non servirebbe solo a ridisegnare l’organizzazione territoriale del nostro Paese, ma anche a contribuire a superare i ‘muri’ costituiti dai confini dei singoli Paesi europei e ricomponendo così nuove comunità geopolitiche di dimensione continentale. Ma come? In quale direzione? Attraverso un’aggregazione di aree regionali omogenee per territorio, storia, cultura, sensibilità politica e interessi socio-economici che superino le differenze di appartenenza nazionale e si collochino nella prospettiva europea. Di quell’Europa politica, però, che non può che appartenere ai Territori e ai Popoli. Non più degli Stati Uniti. Può sembrare avventato fare questa affermazione nel pieno del boom della logica intergovernativa che tende a spazzare via tutte le rivendicazioni comunitarie. Ma è proprio così. Infatti, se non si mette da parte il pensiero centralista e tecnocratico che ha dato vita all’attuale assetto burocratico, privo di anima, per ritornare all’idea originaria di Europa, all’attuale impronta puramente economicistica, assunta a seguito del Trattato di Maastricht, non sarà mai superata e la moneta unica sostituirà quell’unità culturale, politica, sociale ed economica che costituisce l’unica ragione di esistenza dell’Unione Europea. Confermando, come già sostengono molti movimenti popolari, che si tratta di un fallimento clamoroso che ha prodotto una crisi economica devastante, non ciclica ma strutturale. Non solo. Ma, ancor più, ha portato ad un appiattimento delle culture storiche che ha ridotto l’Europa ad un’entità senza identità, poco democratica e spesso incomprensibile per i suoi stessi cittadini, costretti ad assistere allo scempio dei respingimenti dei migranti richiedenti asilo da parte di Paesi che devono la loro attuale esistenza proprio alla generosa accoglienza della (vera) Comunità Europea. Ora, se vogliamo evitare questa prospettiva disastrosa, non c’è dubbio che l’unica possibilità è quella di costruire una nuova unità politica del vecchio continente basata su queste macroregioni che abbiamo visto essere, da un lato, le uniche contenuto vero di una possibile riforma normativa non solo nel nostro, ma anche in altri (Francia, Germania, Spagna) Paesi europei e, dall’altro, la strada indicata dall’UE per perseguire obiettivi di sviluppo che non possono essere raggiunti individualmente da un Territorio contrassegnato dall’appartenenza ad un unico Stato. Ma, poiché l’approccio macroregionale è un’iniziativa innovativa di concertazione e collaborazione che implica la piena inclusione delle Regioni coinvolte, la costruzione di una Macroregione del Mediterraneo Occidentale potrebbe costituire anche un’occasione per realizzare quella cooperazione territoriale indispensabile per un equilibrio equilibrato sviluppo e sviluppo sostenibile del Mezzogiorno. Chiaramente, allo stato attuale, la Macroregione Mediterranea non ha confini definiti e, secondo le linee guida europee, non sarebbe altro che un “piano d’azione” volto ad affrontare i problemi e le sfide comuni che le autorità nazionali, regionali e locali si trovano ad affrontare nell’area. . Potrebbe, insomma, diventare una rete in cui far convivere tutte le tematiche che costituiscono i settori chiave di una crescita economica intelligente e sostenibile e che, non solo, sia in linea con la strategia dell’UE, ma abbia anche la capacità di creare un contributo significativo allo sviluppo del Paese. E soprattutto alla rinascita del nostro Sud che potrebbe essere uno dei motori di questa MacroRegione mediterranea insieme a Regioni come la Catalogna, la Costa Azzurra, l’Andalusia, la Corsica, Malta. In conclusione, il Mediterraneo costituisce uno spazio debolmente strutturato che necessita di interventi di cooperazione e interconnessione sotto ogni punto di vista (economico, sociale, politico, ecologico). Ma lo sviluppo di queste popolazioni è una necessità per l’Europa stessa – che otterrebbe così maggiore sicurezza, un controllo più sostenibile dei flussi migratori e una partecipazione diretta ad un’area in crescita – e per gli stessi Stati europei mediterranei che devono ben sapere che il futuro di da quest’ultimo possono derivare i loro rapporti con un’area strategica per la pace e il benessere delle proprie popolazioni. Per le Regioni del Mezzogiorno, però, un simile processo di cooperazione costituirebbe un’occasione unica per invertire quello che, viceversa, sarà un inesorabile declino e conquistare così uno spazio di azione per la propria rinascita, a partire dalla costruzione di un nuovo governo. organizzazione in cui il principio di cooperazione (federativa) sostituisce una maligna autonomia rivendicata sempre più spesso a difesa di piccoli privilegi, ormai obsoleti. Ben sapendo che una strategia macroregionale per il bacino del Mediterraneo contribuirebbe a determinare benefici in termini di lotta alla povertà, di tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale, di coesione territoriale, di sicurezza e, infine, anche del dramma delle migrazioni che non possono essere considerato solo un fenomeno di emergenza. In sostanza, picchiarli parlando al futuro e dicendo che le loro obiezioni vengono fatte perché guardano indietro e perché forse non hanno mai fatto i conti con la storia. insomma invertiamo il ragionamento e definiamoli conservatori perché siamo innovatori.


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