E dal vertice è rimasta solo la voglia di Puglia – .

E dal vertice è rimasta solo la voglia di Puglia – .
E dal vertice è rimasta solo la voglia di Puglia – .

Cosa ha lasciato di buono il vertice del G7 in Puglia? Puglia. Il summit con i grandi del pianeta non sembra aver lasciato eredità importanti, svolte o grandi risultati. Di quell’affollata concentrazione di potenti in quella fetta di terra contesa dal mare e baciata dal sole, resta la Puglia, regione scoperta solo con il terzo millennio. Prima era nel lato oscuro della storia e della geografia. Hai parlato dell’Italia e, dopo Roma, mi sono venute in mente le città d’arte o d’affari. Si parlava di regioni e di Toscana, appariva l’Umbria o se si andava al sud i nomi sulla bocca di tutti erano Napoli e Sicilia. Anche la storia d’Italia si è fatta sul versante tirrenico; nemmeno i Mille di Garibaldi pensarono di passare dalla sponda adriatica. Quindi la filosofia, la letteratura, l’arte, nella Magna Grecia, hanno grandi nomi e pensieri illustri da quella parte, non in Puglia.

Fino agli anni Novanta Bari era Beri, caricatura malevola di tanti comici e caratteristi locali, elevato al potere di Lino Banfi. Trent’anni fa fece impressione un film del grande Clint Eastwood, I ponti di Madison County, in cui la protagonista, la grande Meryl Streep, confessava di essere originaria di Bari. Che stravaganza, e che miracolo quando anche Clint nel film confessò di conoscere Bari, era stato lì per imbarcarsi per la Grecia (ecco cos’era la Puglia, il trampolino di lancio per la Grecia); aveva visto Barivecchia e gli era piaciuto anche se all’epoca era considerata una zona pericolosa, in mano a criminali e borseggiatori.

Certo, c’erano Renzo Arbore e Domenico Modugno, ma uno si faceva passare per napoletano (come Riccardo Muti da Molfetta, del resto) e l’altro per siciliano. Sul piano politico, c’era Aldo Moro, ma la sua identità, come la sua inflessione, sembravano così deboli e vaghe, anzi ondeggianti, tra Roma e Bisanzio, tra la DC, l’Università e un generico Levante; Moro era pugliese solo per i pugliesi, non per tutti gli altri. In Puglia si veniva forse per Padre Pio, ma lui era di Pietrelcina e parlava con un’inflessione napoletano-sannita. Al massimo c’era Gargano.

Insomma, la Puglia è passata inosservata. Poi, verso la fine dello scorso millennio, è successo qualcosa. Il declino di Napoli e del resto del sud, marchiati a fuoco dal marchio mondiale di mafia, ‘ndrangheta e camorra, al cui confronto la malavita pugliese era nulla nonostante il sontuoso nome di Sacra corona unita. Poi la scoperta di piatti e prodotti della natura pugliese: fave e cicorie, lampascioni e cime di rapa, riso, patate e cozze. Accidenti, che delizia… Poi l’exploit del cinema e delle fiction, che hanno trovato la loro naturale collocazione in Puglia e dintorni. Le masserie pugliesi, i borghi bianchi, i trulli, la controra, le meraviglie barocche di Lecce, le vecchie baresi che fanno le strascinate – le orecchiette – per strada, il pesce crudo, di casa a Bari e Taranto prima del sushi giapponese; una scia di folklore, la scoperta del Salento… Su quella scia il successo folle di Checco Zalone, la pizzica e la taranta, l’arrivo dei vip nelle campagne pugliesi. Quanto è bello fare l’amore da Vieste in giù…

Si trattava di un’escalation che stava iniziando a incrinarsi a causa dell’eccesso di turismo, dell’overdose di film e pugliofilia; quando il vertice del G7 è arrivato a Borgo Egnazia e dintorni. Migliaia di giornalisti, non solo cellulari ma telecamere puntate sulla Puglia, sui trulli in visione mondiale. Prima la contesa tra i castelli svevi per ospitarli, quello di Federico a Castel del Monte o a Barletta, alla fine venne scelto quello di Brindisi; i grandi portati in giro, in tutti i sensi, a vedere le ceramiche di Grottaglie come un qualunque altro gruppo di crocieristi, come un laboratorio di tappeti nella casbah. Poi i Big tra gli Ulivi, la voce di Bocelli, Li mangi, e cosa mangi. Sì, il pescato del giorno, taralli e focacce, lasagne e prelibatezze varie, non solo locali. Ma la scoperta principale della tavola è stata una, proveniente dalla cucina povera e genuina della Puglia più profonda: pane e pomodoro. La cena dei poveri, la merenda dei ricchi, la variante del pranzo in riva al mare, senza portare la scatola della pasta al forno come un tempo. Per pane intendevamo il pane raffermo; esiste anche una primitiva versione invernale, che chiamiamo caldello, pane tostato su cui viene versata generosamente acqua calda, preferibilmente di mare, pomodori, aglio, olio, sedano e varie altre verdure.

Oltre alla versione invernale, gli ingredienti base classici sono pomodori, olio e origano, tutti pugliesi, più un pizzico di sale marino, magari delle saline pugliesi, e qualche foglia di basilico. Chi esagera ci mette dentro anche altra roba, anche cipolle e uova sode. Esistono innumerevoli versioni, anche locali e familiari ma il punto di partenza è stata la povertà creativa, il riciclo del pane avanzato più il profumo del mare riscaldato sul fuoco, almeno l’ombra dei pomodori e il resto è fantasia; cioè altri ingredienti per chi può permetterselo o solo fantasia per chi non potrebbe fare altro.

Pane e pomodoro, che dà anche il nome alla spiaggia più famosa di Bari, è diventato popolare tra i grandi nomi del mondo, la fantasiosa povertà locale ha sedotto la potente ricchezza globale. Il sud del mondo in una frisella integrale.

Scrivendo della Puglia da lontano, ho sentito un formicolio nostalgico, un irrefrenabile desiderio di tornare, una fame di Puglia, di pane e pomodoro; e un libro arrivato al momento giusto, Ritorno in Puglia di Marco Ferrante, fa da didascalia al mio desiderio. Che voglia di tornare, di tuffarsi nell’infanzia; ora che i Grandi se ne sono andati, che voglia di tornare piccoli…

(Panorama, n.29)

 
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