Ghali va alla Mecca. La invidia per non avere un rapper cristiano – .

Ghali va alla Mecca. La invidia per non avere un rapper cristiano – .
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Lui è indubbiamente bello, la foto è bellissima e il primo sentimento che provi è (sana) invidia. Un difetto capitale per la cultura giudaico-cristiana, un eccesso di brama per il buddismo e anche per un sentimento laico inadeguato rispetto all’aura di religiosità che aleggia su tutto. Eppure è così, vedere Ghali postare su Instagram il suo pellegrinaggio alla Mecca, uno dei cinque pilastri dell’Islam e precetto che i musulmani dovrebbero osservare almeno una volta nella vita. E compiuto in questi giorni di Ramadan nella città santa per l’Islam dal rapper milanese, nato da genitori tunisini arrivati ​​in Italia negli anni Ottanta. Istantanea della sua adesione alla religione e forse anche al mese di digiuno rituale che si concluderà domani. E quindi ecco che arriva l’invidia. Perché mentre ci sfiniamo in interminabili dibattiti che spaccano il capello (e non solo) sulla decisione se sia il caso di concedere ad una scuola frequentata in gran parte da musulmani un giorno di chiusura per la celebrazione della fine del Ramadan, lui con un’unica e potentissima immagine trasmette tutto l’energia e la sacralità dell’adesione ad una religione e ai suoi precetti. Un esempio ancora più dirompente perché incarnato non da un religioso, un insegnante o un genitore, ma da un giovane, idolo dei giovani, frequentatore e anzi protagonista dello spettacolare mondo dello spettacolo, come ha dimostrato l’esplosione di Sanremo . E allora quale miglior testimonial per un prodotto in disuso come la religione, forse anche perché affidato a comunicatori polverosi. Soprattutto, va detto, quella cristiana, mai così in crisi e abbandonata ai parroci dalle prediche zoppicanti, al decadimento degli oratori e ai troppi cattivi esempi tra curia e curia. Da qui l’invidia e il desiderio di vedere un rapper in pellegrinaggio, magari percorrendo la Via Francigena per inginocchiarsi davanti al Papa e testimoniare la fede cristiana. Non dimentichiamolo, quello delle radici dell’Europa. Un gesto forse meno coreografico di quello dei fedeli islamici che passeggiano attorno alla Kaaba nella grande moschea, luogo sacro dell’Islam. Difficile per noi che abbiamo sostituito la sacralità estetica del rito con le chitarre del 1968 raggiungere la sobria eleganza del telo bianco senza cuciture che rende uguali davanti a Dio tutti i pellegrini della Mecca. Non c’è molto tempo, svegliamoci prima che l’augurio «Ramadan mubarak» (sia benedetto il Ramadan) diventi il ​​modo migliore (o unico) per avvicinare i giovani a Dio.

Chiunque, benedetto sia Lui.

 
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