Pearl Jam, la recensione di Dark Matter – .

Pearl Jam, la recensione di Dark Matter – .
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Mettiamola così: questo è un album prodotto da un ragazzo che si presentava in studio ogni dannato giorno con una maglietta diversa dei Pearl Jam. Ora, alcune persone arrivano al punto di dire che è di dubbio gusto anche solo indossare la maglietta della tua band preferita quando vai a vederli dal vivo. Sicuramente per un musicista entrare in studio e vedere il produttore indossare il logo della propria band sul petto o peggio ancora la propria faccia deve essere ridicolo, se non imbarazzante. Ma Andrew Watt è così. Sta realizzando il suo sogno di mettere le mani sulle band che amava e di farle ascoltare a chi all’epoca non era nemmeno nato – lo era, ma solo di poco, essendo venuto alla luce ai tempi in cui i Pearl Jam scrivevano le canzoni. Di Tenente.

Watt lo fa con un entusiasmo apparentemente contagioso. Come Rick Rubin coltiva il mito del ritorno all’espressività primitiva e senza filtri. A differenza di Rick Rubin che ama spogliare il suono per ritrovarne l’essenza, Watt si limita a replicarlo facendolo passare attraverso il filtro della contemporaneità. Senza darlo a vedere, è un potente agente di nostalgia. Ecco perché certi album che produce piacciono Materia oscura O Diamanti di Hackney dei Rolling Stones suonano simili ma non troppo ai classici. Sono dischi intelligenti, destinati a essere disprezzati da chi pensa che il meglio sia passato, amati da chi è convinto che il passato sia sempre il migliore.

Questo per dirlo Materia oscura, in uscita il 19 aprile, non è solo l’album in cui i Pearl Jam devono dimostrare dopo alcune prove minori di avere ancora una ragione per vivere in studio di registrazione – dal vivo, come sappiamo, è un’altra questione. Con un produttore del genere non può che essere l’album del fatidico ritorno al passato, formula che nel 90% dei casi nasconde lavori in cui la band cerca di catturare l’energia giovanile senza riuscirci e questo semplicemente perché tutti invecchiamo e per quanto tempo ci illudiamo del contrario, il passato non ritorna mai.

In caso di Materia oscura, della tanto evocata band degli anni ’90 non resta che l’eco. Se si ha accettato con calma che i Pearl Jam non sono più rilevanti, come è naturale per i musicisti che esistono da tanti anni, è facile lasciarlo andare, anche perché era da tempo che non li sentivamo così vivi. In un certo senso, questo è loro Diamanti di Hackneynel bene e nel male, è l’essenza del gruppo in presenza di una diminuzione di ispirazioni e di stimoli, e ciò nonostante il ritmo serrato, non certo da quasi sessantenni, di Spaventato dalla paura O Reagire, rispondereche sono i primi due registrati per l’album, dettandone il tono e l’urgenza.

Se stesso Materia oscura ha un problema quindi non sono i bpm, non sono l’energia. Non è certo il benedetto ardore che Mike McCready mette nel suonare i suoi tipici assoli brevi e convulsi come quello alla fine di Reagire, rispondere, non sono riff di Stone Gossard e nemmeno riferimenti ai classici, anche se si potrebbe compilare una mappa concettuale dei riferimenti dell’album (qualcuno l’ha addirittura abbozzata). Il problema è che nessuna di queste canzoni sembra, per così dire, inevitabile. È ciò che distingue le grandi canzoni da tutte le altre: la netta sensazione che quel riff, quella sequenza di accordi, quelle parole non possono che essere proprio quelle. In Materia oscura non succede. È un buon disco, probabilmente il meglio che i Pearl Jam riescono a fare in questo periodo confuso e 34 anni dopo il loro primo incontro, ma ha il fascino di un lavoro di famiglia, non uno che ti scuote emotivamente.

È difficile individuare il posto che l’album potrà avere nella contemporaneità, ammesso che ne abbia uno. Non è una questione secondaria: non sempre ce ne rendiamo conto, almeno non subito, ma amiamo i dischi anche per quello che dicono di noi e del tempo in cui viviamo. Forse queste canzoni riveleranno il loro significato più tardi e formeranno un quadro più ampio, ma a giudicare dal tono della musica e dei testi di Eddie Vedder, che sono spesso abbastanza vaghi da evocare storie sia private che collettive, Materia oscura sembra incitarci a resistere all’aria del tempo che è fatta di dolore e incertezza, conflitti e macerie, fantasmi e oscurità, immagine quest’ultima ricorrente accanto a quella della fine. Ci dice che dobbiamo resistere creando connessioni e che spetta anche a noi decidere se essere, per usare la metafora di Sole al tramontotramonto o alba – un’idea applicabile anche al gruppo e alla sua voglia di non arrendersi.

Vedder dice queste cose con la “voce” di un sessantenne (lo diventerà a dicembre) che dedica alle figlie Qualcosa di specialeuna canzone carina ma con testi terribili nonostante la citazione da Uomo migliore che sembra intravisto. Ciò che manca, ed è un peccato, sono storie forti e coinvolgenti come quelle, per fare due esempi, degli outsider Tenente o la lotta con la vita e la morte di Vitalogia. O forse più semplicemente chiedo troppo ad una band che ha pubblicato il suo primo album nel 1991 e continua a fare musica pubblicando ogni tot anni una raccolta di brani più o meno riusciti.

Questo disco che si apre con una sorta di Padrone/Schiavo 2024 interrotto dal suono della stecca da biliardo di Sean Penn e si conclude con una canzone che completa concettualmente la prima, fugandone i dubbi, è stata scritta interamente da sette autori, i cinque Pearl Jam più Andrew Watt e il membro aggiunto Josh Klinghoffer. Non credo che vada letto come “diciannove autori per questa merda” (cit.), ma come: siamo una band, li abbiamo scritti tutti insieme in sala di registrazione, firmiamoli tutti insieme. È un punto rilevante. Lavorare in due finestre temporali limitate e soprattutto spingerli a creare insieme, nel momento e non da soli come è successo Gigatone, Watt ha reso un buon servizio ai Pearl Jam. Forse questa era l’unica strada percorribile: produrre il disco dal punto di vista di un vecchio fan. Ascoltati nel contesto dell’album acquistano senso e addirittura migliorano i primi due estratti Corsa E Materia oscura (al netto dell’effetto tremolo che è un po’ Sei). Ci sono tre, quattro canzoni scadenti, che sembrano non andare da nessuna parte, ma alla fine non c’è niente di cui vergognarsi (ok, a quanto pare oggi nessuno si vergogna della musica mediocre che pubblica, ma abbiamo capito il punto).

A questo punto della loro storia, quando la maggior parte delle band si sono disintegrate da tempo, i Pearl Jam suonano meglio quando vanno sul sicuro. Cioè da un lato pezzi che cercano di catturare la sinergia dei musicisti che suonano dal vivo e dall’altro brani che si legano alla grande tradizione americana, quella del sano mainstream di un Tom Petty come in Relittoe alla carriera solista di Vedder – idea non sbagliata, essendo quest’ultima l’intuizione di utilizzare Watt anche per i Pearl Jam nati dalle sessions di terrestre ed essere Nella natura selvaggia la cosa migliore fatta dalla band e dai suoi membri in una vita. Le stranezze, una delle specialità della casa da trent’anni, sono tenute sotto controllo, c’è solo un tono di chitarra new wave come Cure in Non lo dirò e poco altro. Altri riferimenti sono decisamente più familiari, dagli Who in Devo dare ai Soundgarden di Aspettando Stevie (che poi sarebbe Stevie Wonder, che Watt e Vedder stavano aspettando in studio in quel momento terrestre). Vedere che i Pearl Jam se la passano bene e che non possono fare molto altro è allo stesso tempo soddisfacente per coloro che li amano con un amore viscerale e deludente per tutti gli altri.

Eddie Vedder ha detto che quando ha visto Watt indossare una maglietta dei Pearl Jam ha fatto finta di niente. Molto saggio. Il messaggio, tuttavia, arrivò e il cantante ebbe ragione a non ignorare le fantasie del produttore di catturare parte della grandezza dei vecchi Pearl Jam. Con l’entusiasmo dei suoi fan e il suo know-how, Watt ha il merito di aver prodotto un album in cui la band lascia da parte ogni goffo tentativo di renderlo strano e ogni pretesa di essere contemporaneo o nel suo stile pop. È già qualcosa dopo i dischetti Backspacer, Fulmine E Gigatone. Ti viene voglia di alzare il volume mentre ascolti Materia oscura per poi ascoltarlo una seconda volta. Per i Pearl Jam non sarà una nuova alba, ma non sarà nemmeno un tramonto.

 
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