un viaggio nella materia oscura verso un orizzonte di speranza – .

un viaggio nella materia oscura verso un orizzonte di speranza – .
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Un album diretto, scritto, suonato e registrato insieme, ma che va ascoltato più volte per capire cos’è il rock nel 2024. La “materia oscura”, le paure del tempo in cui viviamo in cui “qualcuno paga gli errori of other” come canta Eddie Vedder nella canzone che dà il titolo all’album, sono il carburante di un album che li accelera e li sbaraglia nella sua scia, fino a trasformarli in speranze.

Tra tanti alti e pochi bassi questo è Materia oscura del Pearl Jam. Ci sono pezzi che rimarranno, soprattutto”Spaventato dalla paura“,”Relitto“e quello splendido”Sole al tramonto“. C’è l’espressività di una band levigata e allo stesso tempo scorticata da trent’anni sul palco, ci sono inevitabili i riferimenti a se stessi di ieri ma altrettanto inevitabili, a vivere quello che sono oggi: “Wreckage” sembra un incontro tra “Daughter” e “7 o’clock”, “Won’t tell” si riferisce a “Infallible” e al tempo medio di “No way”. La furia dell’inizio riecheggia sicuramente nelle chitarre e nella batteria, ma questa volta soprattutto nei testi. E sì sente anche il ribollire del loro brodo primordiale: “Il sopravvento” ha un po’ di “Yellow Ledbetter” e la milza di Binaurale“Waiting for Stevie” evoca direttamente i Soundgarden, per poi ritrovare i Pearl Jam dell’epoca Avocadoanche mescolando “Army Reserve” con un po’ di Bob Marley.

E inevitabilmente il centro di gravità permanente dei Pearl Jam e dei sopravvissuti in generale – perché questo sono oggi, gli ultimi testimoni di una generazione musicale perduta – non si può che andarlo a cercare nella propria esistenza. E così Eddie Vedder canta che “Abbiamo riso, abbiamo cantato, abbiamo ballato e abbiamo creduto”, in qualcosa che forse non è ancora perduto. E forse “saremo un nuovo sole quando arriverà l’alba” e non solo un tramonto, è la speranza che non abbia mai abbandonato i testi dei Pearl Jam anche quando l’oscurità sembra avvolgere tutto. I testi più importanti dell’album sono anche quelli più immediati, che arrivano come un’onda a sollevare gli animi. Anche quando sono brevi: “Devo dare” ha dieci mezze righe di testo contate nel booklet perché il concetto è semplice (quindi la canzone è più lunga). Ma è una pura applicazione della poetica di Springsteen, con la consapevolezza che una disillusione è sempre meno amara di un’illusione. E qui il gioco delle citazioni si ripete un po’ Gigatondove ogni pezzo era un chiaro omaggio al rock ma soprattutto alle sue divinità.

L’album si mantiene sempre in uno stato di tensione emotiva che è stato il segno distintivo della band sin dal loro debutto Tenente nel 1992, e sicuramente dopo trent’anni e passa c’è anche un pezzo che potrebbe rientrare nella categoria “daddy rock”, “Qualcosa di speciale“, una canzone dal testo bellissimo, divertente e leggero su un tema non semplice, e un incedere altalenante. Vedder canta per le sue figlie e forse sarebbe potuto essere anche un lato b, una “Dirty Frank” o un cane smarrito. Ma alla fine, nel contesto dell’“oscurità” dell’album, si tratta di un momento onesto di allentamento della tensione e apertura al futuro, e questa onestà conta più della canzone stessa. Materia oscura c’è molto più grunge che cringe, e c’è una band che si diverte di nuovo, con Matt Cameron (batteria) e Mike McCready (chitarra) che si passano la palla da numeri uno, sono entrambi assolutamente in stato di grazia, suonano liberi e incendiario come due supernove attraverso la materia oscura.

C’era qualche timore sul suono, l’album è prodotto dal giovane (fan) e (molto) bravo Andrew Watt, che ha fatto il miracolo con l’ultimo album dei Rolling Stones e che qui rinvigorisce una combo di musicisti e autori che dai giorni nostri mainstream sono inevitabilmente distanti: in Corsa Vedder evoca Victriola, storica azienda produttrice di giradischi, la cosa più lontana dallo streaming, dalle playlist e dagli algoritmi. Ma è proprio l’approccio fresco di Watt che fa rinascere i Pearl Jam come un vero e proprio rock, potente ma al di fuori della “loudness war” dei dischi ipercompressi. I Pearl Jam del 2024 non sono uguali a quelli del 1992, ma sono liberi di suonare come vogliono e per fortuna più tormentati che mai: il testo di “Scared of Fear” è un manifesto del dolore transgenerazionale. Ma consapevoli che l’alto volume e la chiarezza della reazione a questi tempi di materia molto oscura sono l’unica risposta possibile.

 
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