SOMMERSO – Torturato negli abissi – .

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votazione
7.5

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Ci sono radici e radici. Alcune band decidono di tornare alle origini e dedicarsi alla rielaborazione di un suono autenticamente primordiale; altri, invece, decidono di guardare al passato senza per forza finire nei meandri più remoti della tradizione. Un esempio, in quest’ultimo caso, sono i Submerged, giovane gruppo californiano – da non confondere con il vecchio progetto di Matti Way ed Erik Lindmark – che in questo primo album attinge a un diverso tipo di ‘old school’, con l’intento nel rendere omaggio alla scena death metal tecnica e ‘brutale’ di fine anni Novanta, riuscendo a infondere una freschezza e una potenza che tutto sommato li contraddistinguono nel panorama attuale.
La California è sempre stata un terreno fertile per queste sonorità, tanto che etichette come Unique Leader o la stessa New Standard Elite, che pubblica questo “Tortured at the Depths”, hanno sempre trovato ampio supporto da quelle parti, contribuendo a creare un ambiente ideale per lo sviluppo di band come Submerged.
Fin dalle prime note si capisce che i ragazzi hanno fatto bene i compiti. La loro musica è intrisa delle influenze di band come Brodequin, Disgorge e i primi Putridity, che negli anni hanno definito i canoni di certo death metal con il loro suono contorto, veloce e tecnicamente impeccabile. I Submerged si inseriscono in questo particolare filone con un suono massiccio e tetragonale, caratteristico di tutte le formazioni sopra citate e naturale conseguenza di attente esperienze di ascolto e di genuina passione per questa specifica impronta stilistica. In poco più di venti minuti la band mette insieme otto brani aggressivi, febbrili, di breve durata, tuttavia incanalati in un meccanismo compositivo e di interplay che diventa presto fluidissimo e collaudato, dove alla natura granitica dei suoni si unisce anche un vago senso di groove e una buona attenzione ai cambi di tempo e alla dinamica. In questo senso il gruppo ricorda spesso i già citati Brodequin, sempre abili nello scomporre le idee più parossistiche attraverso soluzioni più rotonde e ritmate.
Nonostante la classica resa sonora compressa, con tanto di rullante molto secco e penetrante, l’esordio dei ragazzi di San Diego non cede alla tentazione di crogiolarsi nella pesantezza del suono in modo sterile, mantenendo invece una certa razionalità in termini di strutture e quindi l’ascolto scorre in modo molto organico. Senza dubbio anche la breve durata complessiva aiuta, ma anche dopo vari utilizzi, rimane impressa la capacità del quartetto di costruire tematiche di grande coinvolgimento, capaci di coniugare complessità tecnica e pura brutalità e quindi di offrire un’esperienza di ascolto intensa e appagante per tutti gli amanti di il genere.

 
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