“Non si sono identificati come giornalisti”. Ma il racconto degli inviati rivela qualcosa di completamente diverso – .

“Non si sono identificati come giornalisti”. Ma il racconto degli inviati rivela qualcosa di completamente diverso – .
“Non si sono identificati come giornalisti”. Ma il racconto degli inviati rivela qualcosa di completamente diverso – .

Dopo lo scoppio delle polemiche per i tre giornalisti fermati dalla polizia mentre si recavano a seguire l’ultimo raid degli attivisti di Ultima Generazione a Roma, è arrivata la risposta della Questura. Il quale in una nota ha dato la sua versione dei fatti, scrivendo che “i soggetti presenti sul posto non hanno dichiarato né dimostrato di essere giornalisti”. E aggiungendo che i giornalisti hanno mostrato le carte d’identità che erano registrate nel verbale di servizio. «Contemporaneamente – prosegue la Questura – nella zona di via Veneto dove si verificava un littering, altri iscritti all’ordine dei giornalisti, dopo aver esibito il tesserino professionale, continuavano a svolgere regolarmente il loro lavoro, senza essere sottoposto ad ogni ulteriore controllo”.

La versione dei giornalisti

Una ricostruzione quantomeno stridente con quanto fatto invece dai diretti interessati. Angela Nittoli, una di loro, a Aprire ha dichiarato: «Una cosa del genere non mi era mai accaduta personalmente. Faccio questo lavoro da vent’anni e sì, mi è capitato che, durante un evento, mi chiedano la tessera professionale. Ma una volta esposto e fatte le opportune verifiche, sono tornato a seguire l’evento”. Invece lei e i suoi colleghi sono stati tenuti per un’ora in una stanza sicura, con la porta aperta.

La nota del Dipartimento di Sicurezza

Anche il Dipartimento di Sicurezza ha diffuso una nota, nella quale ammette che, in sostanza, non esiste alcuna direttiva per i media: «A Roma e nel resto del territorio nazionale non è mai stata data una direttiva operativa che preveda l’identificazione dei giornalisti e operatori dell’informazione in occasione di eventi pubblici”. E ancora: «Singoli episodi che hanno portato all’identificazione sono avvenuti in contesti in cui non era stata dichiarata né dimostrata la qualifica di giornalista. Si tratta in ogni caso di circostanze non riconducibili a nuove modalità operative”.

Un caso politico

La vicenda, nel frattempo, è diventata una questione politica. A denunciare l’accaduto si sono infatti schierati non solo gli organismi di categoria, come l’Ordine dei giornalisti, il sindacato Fnsi, l’Associazione romana della stampa e diversi comitati di redazione. L’opposizione parlamentare ha già chiesto chiarezza: “Questi episodi non devono in alcun modo essere sottovalutati perché costituiscono campanelli d’allarme che rischiano di compromettere diritti fondamentali come il diritto all’informazione”, ha dichiarato il dem Andrea Orlando. Mentre Nicola Fratoianni parla di «un comportamento delle forze di polizia ormai insostenibile», e Angelo Bonelli definisce quello di Piantedosi «uno Stato di polizia, simile a quello dei regimi». «Il lavoro giornalistico, di documentazione e di ripresa deve essere sempre garantito, nel rispetto delle condizioni di sicurezza di tutti ma assicurando il pieno esercizio della libertà di stampa», commenta la senatrice Barbara Floridia, presidente della commissione di vigilanza Rai.

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