ora qualcuno si faccia da parte – .

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Un’Italia che non è né carne né pesce, anzi, per restare a tavola, una frittata, questa volta torna da Berlino con le orecchie basse, in stile cocker sconsolato. Buffon, dalla panchina, da capo delegazione, guarda il vuoto nello stadio, anch’esso pieno, dove è stato campione del mondo.

A guardarla con gli occhi di un drone, gli azzurri non sembravano schierati, ma piuttosto sparsi. I ragazzi che muovono milioni non sono riusciti a muovere palla, ma questo, forse, perché nel primo caso sempre più agenti a percentuali usurarie contribuiscono a dargli una mano, e nel secondo serviva altro, piedi e testa, ma sembrava che non ci fossero né l’uno né l’altro. Entrambi, forse, imbevuti fin dall’infanzia di troppi schemi che magari insegnano i numeri ma non il tatto. Impari a lanciarla dietro, aspettando che arrivi l’ala bassa, l’ala alta, l’incursore, il falso nove (noi effettivamente abbiamo i falsi nove), ma non la rimetti mai. Uno dei due gol svizzeri che spedirono l’Italia la risposta al mittente (un’organizzazione che evidentemente non funziona: cosa aspettarsi di più dopo l’esclusione dagli ultimi due Mondiali e l’uscita anticipata nei due precedenti?) è arrivata dopo 33 tocchi da parte dei rossi. Fila granitica (al 52′ trovò l’Atalanta…).

Spalletti si è assunto la responsabilità della sconfitta – e chiamarla così è un eufemismo – che nasceva anche da una tattica del “facimmo ammuina”: il terzino destro va a sinistra, l’ala sinistra a destra, una pletora di difensori, un’abbondanza inutile se poi si inizia a difendere a tre. Si è assunto la responsabilità, l’allenatore licenziato di corsa dopo il tradimento di agosto di Mancini, adducendo come unica attenuante il fatto di aver avuto solo poche partite per conoscere questo gruppo che si rimescolava, comunque, a ogni partita. C’è una mancanza di conoscenza, ma se non interviene qualcuno a ridisegnare il calendario, un Giulio o un Gregorio, non si saprebbe dove incastrare più partite nel programma giornaliero di campionato e coppe nazionali e non solo. Mandare gli azzurri sparsi per il campo come si vede in Germania in questi giorni e soprattutto nella “nostra Berlino” è davvero ingiustificabile.

I giocatori si sono scusati, anche se i tifosi dell’angolo hanno respinto il mea culpa: perdere, nello sport, non è una colpa, ma così sì. Ha vinto lui, l’apatico dentro, non l’italiano che non si arrende mai e che lo sport, tante volte, ci ha fatto amare e farci sentire orgogliosi. Qui è andato tutto male: la cosa più vicina a un gol in favore dell’Italia è stato un palo su colpo di testa sbilenco di un difensore svizzero! Tutto il resto non era noia: non era niente.

E comunque (e non riguarda Spalletti né i giocatori in campo) resta sempre la questione delle cento pistole: chi al posto di chi? Questa è la domanda che bisognerebbe porsi in Federazione, in Lega, nelle sedi societarie dove si calcolano le plusvalenze e si reclamano vantaggi fiscali, in quelle dove attraverso analisi video, algoritmi e intelligenza artificiale si cercano stranieri da valorizzare e rivendere (se non e’ oratorio, vogliamo restaurare l’asilo nido?). Chi invece di chi? Nel frattempo, forse, qualcun altro al loro posto…

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Il Messaggero

 
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