Quel brutto pasticcio sanitario – .

di Claudio Maria Maffei

19 APRILE

Caro direttore,
partiamo dal grafico tratto dal Rapporto BES 2023 dell’Istat pubblicato su Qs mercoledì scorso che mostra come nel 2023 la quota di persone in Italia che hanno dovuto fare a meno delle cure ammonta al 7,6% dell’intera popolazione, in aumento rispetto al 7,0% del precedente anno. Nelle Marche questa percentuale nel 2023 sfiorava il 10% (9,7%), mentre nel 2022 e 2019 si aggirava attorno al 7%. Il dato colloca le Marche al terzo peggior posto (le Marche fino al 2022 erano al centro della classifica) ed è una delle tante conseguenze del governo politico del sistema sanitario marchigiano, dall’ottobre 2020 (ormai quasi quattro anni fa) nelle mani del centrodestra e soprattutto di Fratelli d’Italia. Una sanità che il premier Giorgia Meloni vorrebbe come modello e che i marchigiani cominciano a vedere come un disastro.

Contestualmente alla diffusione di questi dati, impietosi nel documentare l’impatto del nuovo Comune sulla “qualità dei servizi” (non è un caso che la Figura citata si trovi nell’omonima sezione del Rapporto BES) , la crisi ha trovato ampio spazio sui giornali locali ai vertici dell’Azienda sanitaria territoriale di Pesaro e Urbino, con la richiesta di pensionamento anticipato del direttore generale esperto e competente e le conseguenti dimissioni del direttore sanitario. La questione in questione va ben oltre una valenza puramente locale, discorso che vale anche per la questione sanitaria marchigiana che fornisce molti elementi utili per una riflessione a livello nazionale. Partiamo dalla crisi sanitaria nelle Marche.

Il centrodestra ha vinto le elezioni regionali 2020 nelle Marche con un mancato programma, almeno per quanto riguarda la sanità. Nei momenti di crisi (e l’intero sistema sanitario nazionale nell’autunno del 2020 era in crisi a causa dell’emergenza pandemica) può bastare la generica promessa di cambiamento per vincere. E poiché nel programma bisognava scrivere qualcosa al di là della fattibilità e del senso di quanto scritto, il centrodestra ha puntato tutto su due messaggi: il ritorno all’ospedalismo diffuso e la frammentazione dell’Azienda sanitaria unica regionale in cinque Aziende sanitarie territoriali, uno dei quali (precisamente quello di Pesaro e Urbino) inglobava l’Ospedale Marche Nord che venne soppresso. Il tutto in nome del mantra dell’aspirante Consiglio di “un sistema sanitario più vicino al cittadino”. Questa doppia scelta è stata onorata dal centrodestra una volta terminate le elezioni. Solo che questa doppia scelta ha generato l’ingovernabilità che ha portato ai due eventi da cui siamo partiti: l’instabilità dei vertici aziendali e la crisi della qualità dei servizi.

Nella sanità italiana con i suoi vincoli (sia i tetti economici complessivi che quelli di spesa del personale) e con i suoi problemi ormai strutturali (quali la carenza di personale, la scarsa attrattiva delle professioni sanitarie e la fuga dei professionisti dalle strutture pubbliche) ha scelto di coinvolgere il sistema sanitario in una riorganizzazione aziendale più frammentata e costosa e mantenendo non solo inalterata, ma addirittura accentuata, la frammentazione e la dispersione della rete ospedaliera, ha portato a quei risultati che il Consiglio cerca di nascondere e minimizzare. L’esempio della Provincia di Pesaro e Urbino appare davvero paradigmatico. A fronte di un bilancio sostanzialmente invariato, questa Azienda è chiamata a redigere un Atto Societario sulla base di un Piano Socio Sanitario che preveda per la Provincia un nuovo ospedale per Pesaro con più posti letto rispetto agli attuali, il mantenimento di quello in Fano una decina di chilometri con un nuovo edificio per la DEA di primo livello, un ampliamento dell’ospedale zona disagiata di Pergola con un blocco operatorio per interventi di alta complessità con 4 posti letto di terapia intensiva post operatoria (avete letto bene se siete arrivati ​​fino a qui), tre quasi pronto soccorso in altrettanti Ospedali di Comunità con personale specializzato fornito dalla DEA di riferimento (anche in questo caso avete letto bene), Ospedali di Comunità per i quali il Piano prevede ogni sorta di competenze specialistiche. È ovvio che l’operazione di redigere un atto societario capace di dare attuazione a queste linee guida (che sono contrarie a norme come il DM 70 e il DM 77) è una missione impossibile, dato che anche la gestione “ordinaria” del bilancio è impossibile. Infatti, di fronte alle proteste dei cittadini che non possono più tollerare ritardi e inefficienze, il Consiglio risponde che non ha risorse aggiuntive e che spetta agli Amministratori trovarle perché hanno l’autonomia per farlo. Oltre al danno si aggiunge la beffa: la Regione vincola la programmazione delle imprese al Piano, prevedendo un impossibile ampliamento dell’offerta e poi chiede contestualmente alla Direzione di recuperare risorse per l’attuale gestione. E questo vale per tutta la Regione.

Come il sistema sanitario marchigiano possa uscire da questa doppia stretta (Piano da rispettare e servizi da offrire) resta difficile anche solo immaginare, visto che il Piano di Edilizia Sanitaria della Regione è tagliato su misura per questa illegittima programmazione, Piano che una volta iniziato, sarà molto difficile e molto costoso tornare indietro. In tutto questo il Ministero e la Ministra tacciono e anzi sono considerati partner “di filiera” dal centrodestra che governa le Marche. Mi sembra che ci sia qualcosa su cui riflettere tutti, non solo noi marchigiani.

Claudio Maria MaffeiCoordinatore del Tavolo Salute Pd Marche

19 aprile 2024
©Tutti i diritti riservati


Altri articoli in Lettere al direttore

immagine_2
immagine_3
immagine_4
immagine_5
immagine_6
 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

NEXT Rosy Chin, l’ex Gieffina furioso con lei: “Faremo azioni legali”