In cosa si è trasformato Gregor Samsa? – Il post – .

In cosa si è trasformato Gregor Samsa? – Il post – .
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Statua di Franz Kafka dello scultore ceco Jaroslav Róna, Praga (AP Photo/Petr David Josek)

La risposta non è scontata, spiega Giorgio Fontana nel suo nuovo libro dedicato a Franz Kafka e, tra l’altro, al celebre racconto “La Metamorfosi”

La metamorfosi di Franz Kafka è uno dei racconti più conosciuti della storia della letteratura, perché essendo stato citato in innumerevoli contesti e occasioni è noto a grandi linee anche a tante persone che non l’hanno mai letto. E molti di loro probabilmente sono convinti che il protagonista, il commesso viaggiatore Gregor Samsa, si trasformi in uno scarafaggio. In realtà la storia non dice questo, spiega lo scrittore Giorgio Fontana – anche lui assiduo autore di Storie/Idee sul Inviare – nel suo ultimo libro, Kafka. Un mondo di verità (Sellerio). È un saggio in cui Fontana, da amante dello scrittore praghese, ci invita a leggere la sua opera senza preconcetti su cosa significhi “kafkiano”. Pubblichiamo un estratto.

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Già i primissimi recensori del racconto ne furono colpiti: nel 1916 Loewenstein parlò del «contrasto con quanto vale per le metamorfosi delle antiche fiabe popolari, in cui l’uomo viene magicamente trasformato in orso o rana, ma solo per riconquistare – attraverso prove e vicissitudini – la pienezza della dignità umana”. In questo senso traduci Die Verwandlung con La metamorfosi – invece di uno più ovvio La trasformazione – conserva un tocco di sapore arcaico che non stona affatto: come altri personaggi mitologici, ad esempio Atteone fece diventare un cervo per aver spiato Diana, anche Gregor subisce un cambiamento definitivo. La differenza sostanziale è che Gregor non ha fatto nulla per meritare una simile punizione: ogni traccia di monito morale evapora a contatto con la parola kafkiana.

Eppure, oltre a testimoniare un mistero irriducibile, mi sembra proprio così La metamorfosi illuminare una violenza molto diversa e forse peggiore di quella mitica: la violenza del lavoro e della famiglia. Kafka scrisse il racconto verso la fine del 1912 ma lo pubblicò solo tre anni dopo, prima per la rivista Die Weissen Blatter – con pochissima cura editoriale, cosa di cui si lamentava – e poi in un volume per la serie «Der jüngste Tag» di Kurt Wolff. È probabilmente il suo testo più famoso; è certamente uno dei più perfetti e sconvolgenti, anche se Kafka diceva di esserne sempre stato insoddisfatto.

La trama è più o meno nota a tutti: il commesso viaggiatore Gregor Samsa si sveglia una mattina trasformato in insetto e ciò provoca una serie di incidenti grotteschi e terribili con la famiglia e gli altri clienti della casa, fino alla morte di Gregor. In una lettera a Felice Bauer, Kafka disse che gli sarebbe piaciuto leggerle la storia ma tenendole la mano, “perché la storia fa un po’ paura”: un eufemismo a dir poco.

Come abbiamo già visto, secondo un meccanismo tipicamente kafkiano, il fatto aberrante da cui prende avvio il racconto è ricoperto da una patina di rapida accettazione. Sempre a letto Gregor effettua una ricognizione del suo nuovo corpo, ma senza porsi domande sulla trasformazione in quanto tale; più che altro si rassegna. Qui infatti è ancora molto umano e poco insetto: si lamenta a lungo della durezza del mestiere (che avrebbe abbandonato da tempo se non avesse dovuto provvedere alla famiglia); è terrorizzato perché ha perso il primo treno e rischia di perdere quello delle sette; pensa di darsi malato ma sarebbe imbarazzante, non ha mai preso ferie e il capo potrebbe rimproverargli di essere un fannullone. Alla fine, quando il procuratore della ditta è effettivamente arrivato a far luce sulla sua assenza e lo minaccia a porta chiusa, Gregor si chiede perché la sua azienda sia immersa in un clima di perenne sospetto e intimidazione.

Una lettura attenta di Metamorfosi non si possono dimenticare simili aspetti oppressivi, tutti radicati nel mondo reale e non ancora legati alla trasformazione stessa: sfruttamento professionale basato sul debito, crudeli rimproveri da parte del capo, un padre apparentemente fragile che in realtà si rivela violento e scroccone, un sottomesso madre e una sorella amorevole che alla fine si rivelerà essere la vera esecutrice, separando per sempre “il mostro” da Gregor. Siamo molto lontani dall’epoca classica: il residuo di metamorfosi mitiche in un appartamento novecentesco non esercita più fascino: è solo una sventura da cui liberarsi.

«Non era un sogno», si affretta a precisare il narratore, mentre il primo capitolo si sviluppa con un abilissimo gioco di voci fuori campo, filtrate attraverso porte e muri, mentre Gregor cerca disperatamente di alzarsi, di spiegarsi, aprire la porta con la bocca (una scena di commedia dolorosa, come il suo giocoso dondolarsi per alzarsi dal letto). È l’unico personaggio ad apparire per la maggior parte delle pagine e nella fiction ci viene chiesto di credere che sia cambiato. Veramente in un essere con le gambe piccole. Zampette: ecco uno dei fulcri sottovalutati della storia; membra che si muovono ancora più velocemente per il nervosismo provocato dall’arrivo del pubblico ministero, e che in un panorama statico si muovono con grande mobilità, quasi allegramente, tanto che quando Gregor morirà piatto e avvizzito di loro non ci sarà più traccia. Anche per questo è sciocco chiedersi di cosa sia simbolo l’insetto: non è simbolo di nulla.

Il termine usato da Kafka è Ungeziefere nella sua vaghezza comunica un chiaro significato inferiore: parassita, animale infestante (l’aggettivo è inestimabile, cioè enorme ma anche mostruoso). Kafka avrebbe potuto usare Insetto, però è una parola troppo neutra; altre espressioni compaiono nel racconto per indicare l’animale, tra cui Livelli E Mistkafer: quest’ultimo indica in realtà lo sterco, ma è la serva che lo utilizza e possiamo supporre che non abbia conoscenze scientifiche. Ungeziefer tuttavia è la prima parola e resta l’unica per molto tempo.

Le speculazioni sulla specie del parassita sono interessanti – l’entomologo Nabokov pensava fosse uno scarafaggio, i più uno scarafaggio o una blatta, Primo Levi uno scarafaggio e così via – ma a mio avviso poco utili, se non controproducenti. Kafka, infatti, non volle assolutamente un’immagine dell’insetto in copertina, ponendo subito il veto su rappresentazioni precise. L’edizione di Kurt Wolff raffigura quindi un uomo che si ritira terrorizzato da una porta semiaperta, e questo disegno offre due spunti.

Innanzitutto, l’iconoclastia selettiva (le descrizioni sfocate del suo aspetto) garantisce che l’insetto rimanga nel regno del vago e del perturbante: ognuno è costretto a immaginarlo nella forma più adatta alla propria paura. In secondo luogo, dalla presenza di un familiare in copertina si capisce che la storia non riguarda solo l’animale-Gregor, ma anche e soprattutto chi vive con lui.

Ecco l’aspetto nascosto della storia: la capacità di Kafka di creare una famiglia alle prese con un disastro inconcepibile; e per descrivere senza abbellimenti l’odio che può nascere verso qualcuno che abbiamo amato, quando all’improvviso cambia e diventa un peso. In realtà si tratta di una persona completamente paralizzata o affetta da grave demenza senile, per esempio; qualcuno che pesa sulle nostre spalle, anche se per anni ha provveduto ai nostri bisogni, lavorando con dedizione, e che ora non può darci nulla in cambio. Nemmeno una parola: Gregor è prigioniero di un corpo mostruoso nonché di una lingua sconosciuta – un peep – sebbene i suoi pensieri, nonostante alcune oscillazioni, rimangano fermamente umani. Parla, cerca di invocare la madre o l’amata sorella Grete, per chiarirsi con il pubblico ministero, eppure anche questo gli viene negato: capisce gli altri, ma non riesce a farsi capire.

Un mio amico ha letto La metamorfosi negli ultimi mesi della malattia del padre, e mi disse soltanto: “Ho trovato in esso la riduzione a nulla di ciò che era quell’uomo”.

©Giorgio Fontana, 2024
In convenzione con Agenzia Letteraria Piergiorgio Nicolazzini.
© Sellerio editore, 2024

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