Gli ospedali sono ancora necessari? Il New England Journal of Medicine o Lancet hanno ragione? – .

di Claudio Maria Maffei

03 MAGGIO

Caro direttore,
Ho preso in prestito la prima parte del titolo della lettera indirizzata a tre medici (Jennifer L. Wiler, Nir J. Harish e Richard D. Zane) che il 20 dicembre 2017 hanno pubblicato un discorso dal titolo “Do Hospitals Still Make Sense? The Case for Decentralization of Health Care”, in NEJM Catalyst Innovations in Health Care Delivery, un giornale digitale del New England Journal of Medicine Group. Il sottotitolo del discorso era “Il futuro è qui: spostare l’assistenza sanitaria fuori dall’ospedale verso la casa e la comunità”.

L’intervento a cui ho rubato il titolo proviene da un sistema sanitario molto diverso dal nostro come quello statunitense e da un periodo precedente al Covid, ma è significativo per un approccio innovativo autorevole, come nello spirito della rivista, nel rispetto al ruolo dell’ospedale nella rete dei servizi sanitari: “La crescita esponenziale della sanità digitale e virtuale, lo sviluppo di tecnologie avanzate sempre più radicate sul territorio e il trasferimento di parte dell’assistenza acuta a livelli ambulatoriali crea l’opportunità di passare da una modalità sistema sanitario trasformato da grandi strutture centralizzate all’assistenza fornita in strutture più piccole, più veloci e più convenienti dove l’assistenza sanitaria diventa più accessibile, più sostenibile, più personale e più vicina a dove vivono le persone: la loro casa”.

Altrettanto autorevole il caporedattore di Lancet Richard Horton ha scritto l’anno scorso un pezzo dal titolo “L’assistenza sanitaria di base non è sufficiente” in cui si afferma che l’attuale preoccupazione quasi esclusiva per l’assistenza sanitaria di base condanna milioni di persone alla malattia, al dolore e alla morte . E conclude che questo fallimento è insopportabile. Queste affermazioni si riferiscono alla salute nel mondo e in particolare a quella dei Paesi più poveri, ma servono a ricordare che l’assistenza ospedaliera specialistica gioca ancora un ruolo fondamentale nella tutela della salute in tutti i sistemi sanitari. Richard Horton prende spunto dall’assistenza oncologica, che non a caso anche in Italia è caratterizzata da un forte divario tra Nord e Sud, divario che riguarda in modo significativo l’assistenza ospedaliera.

Ovviamente non è in corso un dibattito tra il NEJM e Lancet sul peso da dare agli ospedali rispetto alle cure primarie, ma i due interventi che ho citato servono a ricordarmi che anche nelle riviste scientifiche di altissimo livello il ruolo degli ospedali con punti di vista molto diversi. Ciò mi porta a fare alcune riflessioni su alcuni recenti interventi qui su Qs riguardanti gli ospedali del SSN e quindi del DM 70. Mi riferisco in particolare ai due interventi di Ivan Cavicchi e Alessandro Giustini, alla cui lettura rimando perché la loro posizioni articolate sconsigliano, almeno da parte mia, una sintesi. In comune hanno la “condanna” del DM 70. Cavicchi precisa che “L’unica cosa che questo ministro vuole fare è rispettare il DM 70, cioè rassegnarsi a un destino di ospedale in declino considerato inevitabile quando non lo è”, mentre Giustini scrive che “leggiamo grande apprezzamento per il dm 70 che contiene piena coerenza con gli errori di approccio alle attività ospedaliere degli anni passati”. Cito questi due interventi perché sono recenti e autorevoli e perché rappresentano un punto di vista prevalente almeno qui su Qs: in Italia servono più posti letto e in generale “più ospedali”. Piuttosto che ripetere le considerazioni sull’argomento che ho già scritto più volte qui su Qs, preferisco limitarmi a proporre ancora una volta un modo diverso di affrontare “la questione ospedale”.

Poiché la riorganizzazione dell’assistenza ospedaliera continua a costituire una priorità a prescindere dal punto di vista utilizzato (quello dei razionalizzatori “bone collector” in cui Cavicchi mi ha inserito o quello dei difensori dell’ospedale visto come punto da cui rinascere il nostro sistema sanitario ) entriamo nel merito delle singole tematiche che il DM 70 affronta e utilizziamo i dati che Agenas ci mette a disposizione nel suo Portale Statistico per verificare l’impatto che ha avuto nelle diverse Regioni per formulare mirate proposte di modifica/integrazione. Nei tanti interventi di condanna del DM 70 questi dati non vengono mai citati, così come non vengono mai o quasi mai citati i singoli punti del DM 70 che andrebbero corretti. In poche parole, pochi guardano quei dati e pochi hanno letto il DM 70 “versione estesa”. Prevale la tentazione di accomunare tutti gli enormi problemi del SSN insieme al DM 70 come responsabilità della politica e di una classe dirigente inadeguata: sottofinanziamenti, squilibri tra regioni, politiche del personale fallite, crescita del settore privato e mancato accesso alle cure . Tutti problemi veri e gravissimi che però non c’entrano nulla con il DM 70. Il DM 70 è un atto tecnico che i politici di molte regioni fanno di tutto per non applicare per non perdere consensi. Si crea così di fatto un’alleanza tra chi non vuole il dm 70 e chi non vuole applicarlo. In questo modo una notevole (molto considerevole) quantità di risorse viene spesa per mantenere reti ospedaliere disperse e allo stesso tempo inefficienti e talvolta insicure (si pensi ai troppi blocchi operatori sottoutilizzati e ai pronto soccorso e ai centri nascita sostenuti da cooperative o troppo molti blocchi operativi sottoutilizzati) e sottrarre risorse ai servizi locali.

Insomma, tutti uniti contro il DM 70. Per fortuna non tutti.

Claudio Maria Maffei
Coordinatore del Tavolo Salute Pd Marche

03 maggio 2024
©Tutti i diritti riservati


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