“Dopo 21 anni lascio l’Asl, credevo nella psichiatria vicina ai pazienti ma è un modello che non esiste più” – .

“Dopo 21 anni lascio l’Asl, credevo nella psichiatria vicina ai pazienti ma è un modello che non esiste più” – .
“Dopo 21 anni lascio l’Asl, credevo nella psichiatria vicina ai pazienti ma è un modello che non esiste più” – .

Ventuno anni di lavoro nel dipartimento di salute mentale diAsl To4la maggior parte di loro al servizio di Settimo torinese, in prima linea nell’integrazione e nella cura del paziente. Dimissioni nel 2021. Non per burn-out da Covid né per aspettative di carriera o stipendio insoddisfacente. Enrico Di Croce57 anni, è uno psichiatra che credeva in un modello “appena scomparso”, dice.

Lavori oggi?

«Ho recentemente partecipato al bando pubblicato in Lombardia, iniziativa decisa da Bertolaso ​​per limitare l’uso dei token operator. Una scelta che mi interessa perché mi permette di lavorare in strutture pubbliche con contratto privato”.

Non hai più lavorato dopo le tue dimissioni?

«Lavoro prevalentemente in strutture residenziali private. Considerando che i servizi integrati nella sanità pubblica quasi non esistono più e che il settore privato finisce per supplire ed è sempre più richiesto in casi particolarmente complessi come quelli che coinvolgono persone malate che hanno commesso reati, ho capito che lavorare in questo contesto significa poter intervenire su persone con gravi problemi mentali. Ed è quello che mi ha sempre interessato fare.”

Non era il Covid, non era lo stipendio. Cosa ti ha spinto a rinunciare alla sanità pubblica?

«Avevo scelto il Servizio di salute mentale di Settimo perché nasce come uno dei primi in Piemonte con un forte modello territoriale. Un sistema che funzionava, che prevedeva la disponibilità di medici e infermieri 24 ore su 24, che consentiva un rapporto costante e di fiducia con le famiglie dei pazienti psichiatrici gravi, le cui storie erano ben note a tutti. Una formula destinata a crescere e semmai ad essere esportata. Invece nel corso degli anni abbiamo assistito ad un progressivo decadimento. Mi sono scoraggiato. Alla decisione contribuiscono anche le scelte personali ma il motivo principale per cui me ne sono andato è questo”.

Continuiamo a ripetere che manca la medicina locale. Stai dicendo che i piani c’erano e li abbiamo persi?

“Esattamente. Il servizio di Settimo può essere considerato un prototipo. Avrebbe dovuto ispirare anche l’organizzazione di altre specialità. Invece è successo il contrario: non erano queste le aspettative”.

Qual è ora l’approccio con i pazienti e le famiglie?

«Gli ambulatori fissano gli appuntamenti. Ma se in quella data si presenta un malato di mente significa che è già guarito. I servizi di salute mentale devono andare a prendere il paziente, altrimenti lo perderemo. Con tutte le conseguenze immaginabili, a partire dal fatto che al pronto soccorso finiscono persone gravemente malate di mente, intasando un servizio di emergenza che dovrebbe intervenire solo in situazioni eccezionali. Il disagio delle famiglie dipende dal non sentire un sostegno solido e continuo. Non parliamo dell’aumento del disagio giovanile, dell’ansia, degli attacchi di panico e dell’autolesionismo, parliamo di pazienti gravi che spesso necessitano di essere seguiti per tutta la vita”.

 
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