«Le relazioni sono essenziali per vincere la stanchezza e la demotivazione»

Poco più della metà definisce la propria situazione in azienda “normale”, se non addirittura “buona”. Ma esiste una linea carsica di fragilità, di sofferenza che spesso non è neanche esplicitata, ed è proprio la dimensione umana. «Relazioni difficili, mancanza di riconoscimento, mancanza di attenzione, frammentazione, identità lavorativa continuamente messa in discussione”. Ma può essere anche peggio quando sono coinvolte maternità, disabilità o molestie.
Per esplorarlo stato di salute psicologica dei lavoratori milanesi è una ricerca condotta da Federica Piacenzapsicologo e psicoterapeuta presso lo Sportello Disagio sul Lavoro e Mobbing CISL of Milan.

I risultati da lui presentati qualche giorno fa ad un pubblico stupito di sindacalisti non sono statistici, ma qualitativi: il risultato di un questionario (riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale) studiato per l’identificazione di alcuni sintomi, nonché 47 interviste individuali e di approfondimento con altrettanti lavoratori rappresentativi della varietà del mondo aziendale metropolitano (dalle piccole imprese alle multinazionali, dal commercio all’industria manifatturiera) che ricoprono anche il ruolo di delegati sindacali della Cisl. Quindi lavoratori piuttosto introdotti nei rispettivi ambienti. Ma le loro storie rivelano diversi fronti di sofferenza, anche personali.

«Chi è bravo sottolinea la componente relazionale — spiega il dottor Piacenza —. Ad esempio, la persona che dice: “Mi sento parte attiva della mia azienda e inclusa in quella comunità”; oppure: “Sono ben integrato nel mio team, abbiamo una persona di riferimento che dà molta importanza al gruppo di lavoro”. Viceversa, — prosegue la sintesi dello psicologo della Cisl — chi non sta bene, sottolinea la soggettività del suo sforzonon riporta la variabile protettiva della relazione”.

E poi dai questionari e dalle interviste emergono parole e frasi come «“inadeguato e stanco”, “sotto osservazione”, “paura di sbagliare”», «sempre all’erta, tesi», «demoralizzati». Un tema molto delicato (e a quanto pare tutt’altro che raro) è quello delle discriminazioni: diversi intervistati, infatti, riferiscono di aver assistito a atteggiamenti spiacevoli nei confronti dei colleghi omosessuali, ma dalla ricerca emerge con preoccupante chiarezza che il bersaglio principale delle varie forme di penalizzazione è ancora maternità. Ad esempio: “Ero in congedo post-maternità part-time, i colleghi e il responsabile convocavano riunioni nel tardo pomeriggio, quindi sono rimasta esclusa”. Oppure: “Anche se ho continuato a lavorare come prima, non ho più avuto avanzamenti di carriera, ma piuttosto una declassamento”. In breve, la tendenza a «mettere le lavoratrici le une contro le altre“, spiega lo psicologo. E qualcosa di simile riguarda anche i disabili e le badanti, cioè coloro che utilizzano i permessi perché devono prendersi cura dei familiari che necessitano di assistenza. Infine, ci sono molestieed è abbastanza impressionante notare che almeno la metà dei 47 delegati sindacali ha dubbi sull’opportunità di denunciare perché non si sente sicura e perché l’azienda tenderebbe a minimizzare l’accaduto e quindi si sentirebbe a rischio di mettersi in una situazione difficile.

«Ci ​​sono due modi per affrontare questi problemi – osserva Carlo Gerla, segretario generale della Cisl di Milano —: rafforzare la contrattazione di secondo livello, per concordare le risposte più adeguate per ogni singolo contesto lavorativo, e poi coinvolgere maggiormente i lavoratori nella vita dell’impresa, come previsto dalla proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione, per la quale la Cisl ha raccolto quasi 400mila firme, che ora sono arrivate in Parlamento e godono del sostegno bipartisan».

 
For Latest Updates Follow us on Google News
 

NEXT Palestra San Felice, al via la ricerca per una nuova società – .