Croce e Gentile giorno dopo giorno. Poi una notte al museo. E la pace di Losanna – - – .

Croce e Gentile giorno dopo giorno. Poi una notte al museo. E la pace di Losanna – - – .
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È difficile che libri importanti diventino bestseller, e quindi non lo sarà certamente nemmeno questo (Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Corrispondenza 1915-1924, Aragno, 2 volumi, 966 pagine, 60 euro: curato con molta cura da Cinzia Cassani e Cecilia Castellani). Ma questo non è un buon motivo per non denunciarlo. Per non segnalare la pubblicazione dell’ultima fase del lungo rapporto epistolare tra le due figure intellettuali più importanti (per non tenere conto di Gramsci) della prima metà del Novecento italiano. Dove è quindi possibile leggere la registrazione, diciamo giorno per giorno, del loro strettissimo rapporto di lavoro – rappresentato qui ad esempio dalla totale condivisione di Croce della riforma scolastica di Gentile (altro che “riforma fascista” come continuano a dire gli imbecilli) – finché alla fine del 1924, dopo il delitto Matteotti, come scrive Croce, il “disaccordo mentale” che da tempo esisteva tra loro si trasformò in un “altro di ordine pratico e politico” destinato a durare per sempre.

Bella l’idea che è venuta da Laterza di chiedere ad alcuni scrittori di passare una notte in un museo e raccontare com’era. Il primo a provare è stato Paolo Nori e questo è nato Una notte al Museo Russo (128 pagine, 15 euro) ovvero il museo pietroburghese di arte russa del XIX e XX secolo. Nori prende naturalmente l’incarico come pretesto per una carrellata che si potrebbe definire “ricordi e pensieri” sulla Russia. E siccome sa tenere la penna in mano e sa di cosa parla, il libro che ci presenta è pieno di cose interessanti, note curiose, di volti e ricordi, di ricognizioni di luoghi famosi e non; attraversato quasi in ogni pagina dalle vicende del rapporto tra potere politico e scrittori, tema quasi obbligato visto il contesto. Su tutto incombe la guerra in Ucraina e l’evidente difficoltà oggi a parlare di certe cose con i russi. Non è un caso che a un certo punto Nori scriva: «Era la prima volta in Russia che mi sentivo occidentale. Nemmeno un italiano, un occidentale”.

Raramente il male ha qualcosa di originale: quasi sempre ogni atrocità può esibire un passato. All’indomani della Prima Guerra Mondiale, quando lo sconfitto Impero Ottomano si dissolse, La stessa Turchia ha corso il rischio di smembrarsi. Solo la decisa reazione politico-militare di Mustafa Kemal contro la pace regolatoria imposta dalle potenze occidentali e le mire espansionistiche della Grecia lo salvò. Ma al prezzo di una nuova pace firmata a Losanna e resa possibile da un gigantesco spostamento forzato di popolazione: un milione di turchi residenti in Grecia e trecentomila greci residenti in Turchia – entrambi da secoli – sono stati costretti a lasciare tutto di giorno in giorno. oggi e sulla base esclusiva della propria appartenenza religiosa. Il bellissimo libro di racconta tutta la storia Jay Inverno (Il giorno in cui finì la Grande Guerratraduzione di Karel Plessini, il Mulino, 343 pagine, 28 euro) che sottolinea come proprio così si sia creato un atroce precedente (peraltro, diciamo così, a fin di bene: evitare certe stragi) destinato ad avere repliche nel futuro molto più tragico.

 
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