«Il mio Friuli mi ha dato un senso di libertà e non lo dico in tv (i litigi con Adani sono veri). L’Italia di Spalletti? Le sorprese…” – .

«Il mio Friuli mi ha dato un senso di libertà e non lo dico in tv (i litigi con Adani sono veri). L’Italia di Spalletti? Le sorprese…” – .
«Il mio Friuli mi ha dato un senso di libertà e non lo dico in tv (i litigi con Adani sono veri). L’Italia di Spalletti? Le sorprese…” – .

Chi è la squadra preferita agli Europei? E tu come vedi l’Italia? «Potrebbe essere la Francia che potenzialmente può schierare due squadre. Ma non escluderei l’Italia: facciamo fatica a proporci, ma la sorpresa potremmo essere noi. Partiamo dall’Armata Brancaleone per poi stupire. Qualcosa di buono, la capacità di reagire, si è già visto”. Fulvio Collovati, 65 anni, friulano di Teor, campione del mondo nel 1982sposato con Caterina Cimmino, popolare volto televisivo sportivo, con due figlie, ha iniziato la sua carriera europea come opinionista radiofonico e televisivo con “Notti Europee”.

Paola Ferrari l’ha presentata come “la mia campionessa del mondo preferita”…
«Lavoriamo insieme alla Ferrari da dieci anni, dai tempi della Domenica Sportiva. Con lei lavoriamo molto bene e c’è massima libertà anche per chi come me non ha mai detto niente di lei in tv”.

Una lunga carriera tra Milan (con lo scudetto Stella) e Inter, un passaggio all’Udinese, qualche anno alla Roma prima di concludersi al Genoa di Bagnoli con un campionato strepitoso. Più di 500 partite giocate e una ventina di gol; 50 presenze in Nazionale dal 1979 al 1996. Stopper elegante, con buoni piedi, forte in elevazione, con personalità. In Spagna era nella Top 11 della Coppa del Mondo.

Ha giocato il suo Campionato Europeo nel 1980, a Roma. Avrebbe potuto fare di meglio?
«Il mio Europeo non è stato molto fortunato, ho sbagliato un rigore che poteva valere il terzo posto. Ho calciato il nono rigore contro la Cecoslovacchia e non sono stato certo un rigorista. Ricordo che avevo appena chiuso gli occhi. E quando prendi un rigore non devi mai chiudere gli occhi. La Germania ha vinto. Quell’Europeo e quell’errore, per me, furono la spinta per il Mondiale in Spagna due anni dopo”.

Nato nella pianura udinese negli anni ’50, da una famiglia contadina: cosa ricordi di quegli anni?
«Ricordo tutto del mio paesino friulano, non ho dimenticato nulla, anche se la mia vita adesso è a Milano. Da bambino vivevo in mezzo ai campi, mio ​​padre Stefano era contadino e quando andava con il trattore ad arare mi portava con sé e quando era ora di tornare doveva inseguirmi tra le vigne. In mezzo alla terra ho provato un senso di libertà che non ho mai più provato. Avevo 10 anni quando ci trasferimmo a Milano dove mio padre aveva trovato lavoro in fabbrica: fece una scelta, erano tempi in cui la gente emigrava da queste parti. Ho iniziato a giocare a calcio a Cusano Milanino”.

Dove fu scoperto da Giovanni Trapattoni
«Non è vero che Trapattoni mi ha scoperto, come è stato detto. Alla fine della stagione 1970 il presidente del club mi disse che c’erano due squadre interessate a me: Milan e Inter. Potevo scegliere e ho scelto i rossoneri. Milano è stata la mia scuola, la mia adolescenza, la mia vita. Ho passato anni in collegio a Milanello, eri giudicato anche per il tuo rendimento e il tuo comportamento. Ho fatto due finali di Viareggio, un anno sono stato premiato come miglior giocatore del torneo”.

A 19 anni esordisce in Serie A…
«Era il 1976, con Pippo Marchioro in panchina, mancava Anquilletti, dovevo marcare Novellino del Perugia che era uno che faceva impazzire i terzini. Me la sono cavata e a fine partita ho detto a Novellino: “Tutto fumo, niente fuoco”. Poi ci siamo ritrovati amici e compagni di squadra al Milan”.

E il clamoroso titolo mondiale?
«Il Mondiale rappresenta tutto, dopo più di quarant’anni la gente ti riconosce e ti ferma perché sei campione del mondo. Non è che ho vinto, ho avuto la fortuna di far parte di un gruppo che ha fatto la storia del calcio, con la guida straordinaria di Bearzot. Il Mondiale è una cosa incredibile, sei in TV e nei ricordi della gente. Con chiunque parli, ti raccontano dov’erano e cosa stavano facendo quel giugno del 1982. È una sensazione bellissima sapere di far parte della storia di così tante persone.

Poi una seconda carriera da opinionista radiotelevisivo?
«L’esperienza televisiva non l’ho nemmeno cercata, è avvenuta nel 1994, quando avevo appena smesso di giocare. Con Altafini siamo stati i primi a cimentarci in questa nuova professione accogliendo la proposta di Telepiù. Ho fatto e faccio altro: ho una società di pubblicità, Mediacinque, che è il mio lavoro principale. Da allora è iniziata questa mia seconda vita professionale: da Telepiù alla Rai, produco anche un programma per Telelombardia, vado in tv a Napoli due volte a settimana. Adesso per gli Europei mi divido tra la telecronaca in diretta radiofonica della Nazionale e i commenti nelle “Notti d’Europa” su Rai 1 con Paola Ferrari. La TV ti offre fama e celebrità, ma la radio è qualcosa a cui non rinuncerei”.

A proposito di tv: i litigi con Adani sono tutti veri?
«Con Lele Adani non esistono ragionamenti artificiosi, abbiamo davvero due modi diversi di intendere il calcio. Rispetto le sue idee, ma i nostri modi di giudicare, dalla tattica a quello che continuo a chiamare slow motion, a volte sono distanti. Eraldo Pecci sta spesso nel mezzo e ha sempre la giusta ironia”.

Cosa ti manca del tuo calcio?
«Le gioie ma anche i dolori della vita quotidiana. Ho avuto una carriera ricca di grandi gioie, ma anche di forti dolori: la doppia retrocessione con il Milan, la seconda con una forte contestazione da parte dei tifosi. Forse mi è mancata un’esperienza all’estero, mi sarebbe piaciuta”.

Il più grande contro cui ha giocato?
«Diego Maradona. Ha fatto cose che non vedo fare a nessuno, ha dribblato cinque o sei avversari che poi si sono scatenati in una caccia all’uomo e gli arbitri non hanno fischiato. Maradona non si può raccontare, devi averlo visto”.

E il più grande italiano?
«Quello che Maradona è stato per il calcio mondiale, Gianni Rivera lo è stato per il calcio italiano. Bisogna vederlo giocare per capire il suo talento. Non dimentico Baggio, Totti, Del Piero, ma se dovessi scegliere sarebbe sempre Gianni Rivera”.

E il calcio oggi?
«Non possono parlare male del calcio, è la mia vita, il mio lavoro, sarebbe ingrato. Ma il calcio è diventato soprattutto intrattenimento. C’ero quando Blatt disse che le partite dovevano finire almeno 3-3; Gianni Brera, invece, sostiene che il risultato perfetto è lo 0-0. Con questo spirito di voler fare gol a tutti i costi sono nati meccanismi come il VAR che a sua volta è diventato uno spettacolo. In Italia ci fermiamo ogni mezzo minuto, comanda il VAR, tutti in pedana, è diventato teatro e il pubblico è condizionato”.

Torniamo agli Europei, parliamo della Nazionale.
«C’è stato un periodo in cui avevamo perso quell’affetto, quell’attaccamento alla maglia della Nazionale. Ma su questo Spalletti sta lavorando molto bene. Non ha una squadra da fenomeno, ma non escludo sorprese, dal punto di vista tattico non abbiamo nulla da imparare. Soprattutto Spalletti è capace di motivare: lo abbiamo visto dalla reazione contro l’Albania, un gol dopo venti secondi poteva uccidere”.

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Il Gazzettino

Chi è la squadra preferita agli Europei? E tu come vedi l’Italia? «Potrebbe essere la Francia che potenzialmente può schierare due squadre. Ma non escluderei l’Italia: noi…

 
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